Considerazioni per giovani esploratori


Ore 13.15, uno studente mi domanda: “Prof, come faccio a migliorare i miei voti?”. L’alunno parte da un’ottima posizione e potrebbe considerarsi arrivato a destinazione. Ammiro chi non si accontenta, in un’ottica generale così come nell’apprendimento. La domanda innesca però delle riflessioni, anche perché al mio alunno ho dovuto dare una risposta. 

Cosa vuol dire studiare? Rivolgo a me stessa il quesito in modo da trovare delle indicazioni (spero utili). Credo infatti che per rispondere a Giovanni se debba partire da qui. Si tratta di qualcosa che rischiamo di fare senza pensare troppo, anche solo per la tentazione dell'inerzia - insegnare, studiare, valutare - e già l'acquisire consapevolezza delle proprie azioni (e i pensieri sono azioni) è una conquista. 

Studiare vuol dire tante cose e con me si parla di studio della storia dell’arte ma probabilmente alcuni ragionamenti possono adattarsi ad altri orizzonti ben oltre quello umanistico. In prima battuta studiamo degli eventi culturali, ci occupiamo di manufatti, prodotti e invenzioni dell’ingegno e dell’espressione umana. Studiare può voler dire porre delle domande a questi oggetti e cercare di indagare il cosa, il chi, il quando e dove, per poi avventurarsi alla volta del come e della costellazione complessa dei perchè. Come strumento di indagine scegliamo il libro di testo, dal quale trarre informazioni sul nostro argomento (autore, corrente, contesto etc.) ed eventuali approfondimenti. Ecco, un primo modo per ampliare lo studio potrebbe essere quello di considerare il libro di testo come la via maestra, una strada ampia, comoda e ben illuminata, percorsa da molti compagni; una strada di cui non accontentarsi e da mettere in discussione, percorrendo sentieri e vie traverse, quelle strade laterali che fanno capolino, finanche un po’ buie e tortuose. Eppure affascinanti. Ecco che emerge una nuova visione: lo studio non è un’acquisizione di nozioni, è piuttosto un processo, un cammino. Sarà anche una metafora abusata, ma quanto è efficace! Quanto vorrei i miei alunni considerassero è che non si tratta solo di un viaggio di per sé necessario, che dà conoscenza portando dalla destinazione A alla destinazione B, ma che il cuore di questo viaggio è la trasformazione che ne ricaviamo in prima persona. Lo studio profondo e autentico produce, nel tempo, una metamorfosi.



Studiare vuole dire lasciarsi prendere dalla curiosità per intraprendere quelle strade buie e meno battute, per aprire varchi, talvolta, lì dove ci sembra non possano darsi, dove ci sembra perfino stupido o audace pensarli. Vuol dire creare connessioni tra luoghi diversi, quasi fossero galassie lontane, mescolando le opere dell’arte alla poesia e alla filosofia e alla storia del costume o all’economia. Vuol dire ricordarsi che la storia ci permette di formulare domande sul nostro presente. Ecco che lo studio del Rinascimento si trasforma in studio del ‘genio’ e della creatività, nell’ottica della storia della cultura come della psicologia (Brunelleschi e la sua cupola, ad esempio, offrono spunti in tal senso. E’ nostro obbligo di insegnanti informarci sulle ricerche in corso per offrire nuovi sguardi); oppure, si può trasformare in studio del ritratto (e in questo caso le implicazioni con l’oggi sono così importanti che non basta un post). Amo pensare alla conoscenza come pratica dell’inaudito, come ricerca dell’inedito, come curiosità per nuove mappe, dove disegnare strade che non sono ancora state segnate sugli atlanti di cui disponiamo. Non sarebbe altrimenti possibile elaborare alcunchè di originale su nessun argomento, eppure gli argomenti di sempre possono essere nuovi, sempre nuovi! Ci vuole metodo, curiosità e fiducia.



Studiare vuol dire dunque coltivare la curiosità e fare di quest’ultima una bussola per comprendere ciò di cui si parla e la realtà nella quale viviamo. Ricordo un compito di una alunna che mi colpì: parlando della produzione ceramica greca antica proponeva un confronto con la tecnica giapponese del kintsugi, per la riparazione dei vasi rotti o rovinati. Era un accostamento audace ma efficace per confrontare due estetiche: il mondo come un tutto perfetto, armonioso e rotondo della Grecia classica e il mondo come un tutto in cui contemplare anche l’imperfezione e la ferita nel caso del Giappone. Si trattava di un argomento nemmeno sfiorato in classe, proveniva dal bagaglio della mia alunna. Ammetto, fui davvero felice quando lessi quel compito. Trovavo non solo lo studio di quanto era stato discusso inseme, secondo coordinate condivise, ma soprattutto scoprivo l’accostamento con altre esperienze, quelle di una storia personale. Imparavo anche io su diversi sentieri.

Come si fa a conciliare uno sguardo ampio, ‘culturale’, con uno sguardo attento al dettaglio, minuzioso, sul nostro argomento? Un modo, sulla falsariga di quanto già indicato, può essere cimentarsi nella lettura comparata di diversi manufatti. Studiando un certo dipinto o una scultura può essere utile scegliere delle opere che affrontano il medesimo soggetto in epoche differenti. O confrontare opere di un autore con altre coeve di altri artisti. O ancora scegliere un tema e affrontarlo seguendo un filo rosso in un percorso tematico. Le strade sono infinite.

Studiare potrebbe sembrare allora un viaggio difficile. Non bisogna farsi prendere, troppo, dallo scoramento, e si deve cercare il piacere (quando in classe affermo che studiare può essere un divertimento so con certezza che dubitano della mia salute mentale), perché alla fine imparare vuol dire prendere confidenza con se stessi e costruire la propria identità. Anche in modo dialettico, prendendo le distanze da qualcosa che non sentiamo affine ma sapendo argomentare e motivare. Si impara ad esporre il proprio punto di vista, a farsi un’opinione, a esercitare lo spirito critico. Servirà a prendere posizione nella vita, con responsabilità, a osservare con libertà quel che accade intorno e a comprenderlo. Studiare significa diventare più liberi.

Però, a proposito delle valutazioni, vorrei anche dire a Giovanni, e a tutti gli altri: ti sei impegnato? ti sei chiesto cosa pensi tu, studiando? senti di avere aggiunto un piccolo tassello nella fiducia in te stesso? hai provato ad aprire nuove porte o finestre? Ecco, hai fatto bene e sei a posto così. Non siamo solo un voto, siamo molto di più, e noi professori abbiamo il dovere di ricordarlo.


Commenti

Post popolari in questo blog

Ali per sognare. Sul cadere (e rialzarsi) nell'arte

Ritratto senza volto. Pensieri sparsi sulla fotografia

Il paesaggio è fuggito dal quadro: l'educazione civica inizia dalle ore di Storia dell'arte