Accade a tutti prima o poi di cadere e di fallire. Ci ritroviamo per terra storditi e incapaci di reagire, stretti nella morsa che rende impraticabile ogni tentativo di rialzarci. Poi però ci rimettiamo in piedi, ci mettiamo un bel po', magari strisciamo anche su quella terra prima di rivolgere lo sguardo verso l'alto. Sta di fatto che in un modo o nell'altro - talvolta accade - ci si risolleva e si riprende una qualche direzione.
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A. Giacometti, Uomo che cade, 1950, bronzo. |
Ho pensato al cadere ed al rimettersi in piedi in questi giorni intensi di esami di stato, ascoltando le mie alunne e i miei alunni del corso serale sostenere il colloquio d'esame. Certo, non sono stati gli unici studenti ad avere affrontato la prova, ma per molti di loro - adulti del Liceo artistico Basile D'Aleo di Monreale, che si sono dati una seconda occasione di studio - si è trattato di un appuntamento importante, vissuto come un riscatto, come un'opportunità di rilancio personale o professionale. Con il passare dei giorni, colloquio dopo colloquio, tra tremori sorrisi e prove di tenacia, mi è parso che tutti - ciascuno a modo proprio - si librassero in volo. Da un lato ci sono le cadute, che spiazzano e buttano giù per definizione: le scelte che altri hanno fatto per noi in passato, o condizioni difficili che hanno portato verso altre esperienze e che spesso hanno fatto diventare adulti quelli che erano solo dei bambini; dall'altro lato però c'è la possibilità che il rialzarsi dopo aver toccato terra abbia il sapore di un evento ancora più significativo, perchè desiderato e atteso, vissuto con la difficoltà che comporta lo scegliere una direzione, il cercare un senso. Ecco allora che ho iniziato a vedere alunne e alunni come dei tuffatori, ho visto delle persone che con slancio si sono lasciati andare al viaggio complesso che è il tornare tra i libri, immergendosi nella pratica e nello studio delle arti. Li ho visti come dei tuffatori che volteggiano nell'aria, proiettati con paura ma con fiducia verso una nuova esperienza. Un po' come il bambino sorridente che si tuffa nell'acqua nella foto del francese Henri Lartigue.
Come si vola nell'arte? La rappresentazione del volo si lega a numerose esperienze della nostra cultura, a miti e religioni, coprendo un orizzonte di valori piuttosto esteso. Da Icaro agli angeli della fede cristiana, in tanti volano e volteggiano tra il cielo e la terra dell'Occidente, per valenze ora salvifiche e positive che rimandano all'avvicinarsi ad una dimensione autentica, alla leggerezza dello spirito o della psiche (psyché in greco antico è appunto 'soffio vitale' oltre che 'anima'); ora di diverso tenore, legandosi alla caduta, alla perdita ed alla perdizione, al volo che precipita i corpi verso il basso e le oscurità, spesso evocando la grave assenza della coscienza di un limite. Ecco, fuori dalle letture definitive, fuori dalle valenze tutte bianche o tutte nere, tra volo, tuffo e caduta, mi sono venute in mente delle immagini che hanno a che fare con il coraggio e la fiducia, la voglia della scoperta e l'incertezza anche. Immagini che associo alle persone che ho imparato a conoscere e a cui la fantasia e l'affetto mi hanno come fatto aggiungere delle ali. Già, perchè sono proprio le ali lo strumento principe del volo, letterali o metaforiche, ma comunque necessarie per rischiare.
Le prime ali che mi vengono in mente sono quelle che mi riportano all'infanzia, quando l'arte la scoprivo anche grazie ai libri che avevo la fortuna di trovare in casa: l'immagine di un paio di ali piccole e bambine, incerte tanto più che chi le porta è bendato, mi turbava e mi affascinava insieme. Venere che benda Amore, di Tiziano, è un dipinto misterioso: tutto converge verso il gesto che la dea compie, eppure Venere sembra pensare ad altro, ha la testa forse alle ragioni per cui il figlio non deve vedere. La bellezza carnosa e sensuale delle figure, le spalle tenere di chi si affida e non sa, la presenza di quelle ali che non spiccano il volo anche se potrebbero: tutto questo, forse, mi colpiva e rendeva il dipinto, ai miei occhi, avvincente.
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Tiziano, Venere che benda Amore, XVI sec., olio su tela, Galleria Borghese, Roma. |
Nel mito greco tutti gli dei godono del privilegio di apparire e sparire con capriccio, suggerendo qualche volta l'impressione di volteggiare. Certo, le ali di Amore sono a tutti note grazie anche ad alcune icone dell'arte come Amore e Psiche di Antonio Canova (ne ho parlato qui), ma ci sono anche le ali del copricapo e dei calzari di Mercurio, le ali di Pegaso, le ali della Vittoria, Nike, e soprattutto le ali di Icaro. Che ali sfrontate, quelle del figlio di Dedalo! Secondo le Metamorfosi dello scrittore romano Ovidio, dopo aver realizzato il labirinto dove Minosse avrebbe tenuto a bada il Minotauro, Dedalo costruisce per sè e il figlio delle ali di cera e piume d'uccelli. Il motivo? Anche loro erano stati rinchiusi nel mitico edificio, colpevoli di avere aiutato Teseo nell'uccisione del Minotauro. Inutili le raccomandazioni del padre una volta che le ali avevano funzionato davvero: Icaro si avvicina eccessivamente al sole causando la liquefazione della cera. Mito potente e struggente insieme, la figura di Dedalo ci parla dell'ingegno e del suo potere, nonchè del rischio che comporta il sapere costruire ed architettare, mentre Icaro ci parla dei limiti e dei confini, dell'importanza del sapersi fermare e di non eccedere poichè, altrimenti, si cade. Ed in effetti, nelle infinite declinazioni dell'iconografia di Dedalo ed Icaro che l'arte ci ha lasciato, tra i vari momenti che si possono identificare quello della caduta è il più forte. Artisti di tutti i tempi ci mostrano il vortice della caduta e l'assenza di equilibrio, il terrore sul volto, il disfacimento anche di quelle ali fino a pochi attimi prima spiegate e tese.
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C. Saraceni, Caduta di Icaro, 1602, olio su rame, Museo di Capodimonte, Napoli. |
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J.P. Gowly, Caduta di Icaro, da bozzetto di P.P. Rubens, 1636-38, olio su tela, Museo del Prado, Madrid. |
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M. Chagall, La caduta di Icaro, 1975, olio su tela, Opéra, Parigi. |
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H. Matisse, Icaro, 1944-47, collage con cartone colorato, Museo Matisse, Nizza. |
Talvolta - ed è forse il caso di alcuni autori della modernità, come Chagall che ha una predilezione per la dimensione del volo e della sospensione errante, o Matisse che fa danzare e gioire le sue figure - ci fanno sentire con grazia la debolezza tutta umana di Icaro, perduto ma curioso, desideroso del cielo e dunque della sua maestosità e bellezza. Abbiamo bisogno delle ali, quelle di cera di Icaro o quelle della curiosità delle nostre parole, per domandare al cielo che forma ha l'infinito?
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P. Cavallini, Annunciazione, 1291 ca., mosaico, Santa Maria in Trastevere, Roma. |
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L. da Vinci, Anunciazione, 1475 ca., olio su tavola, Galleria degli Uffizi, Firenze. |
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P. della Francesca, Annunciazione (Polittico di Sant’Antonio), 1460-1470 ca., Galleria nazionale dell’Umbria, Perugia |
E poi ci sono le ali meravigliose degli angeli, quegli apparati di colore e di leggerezza che sono segno di bellezza. Sono le ali dell'arte europea, che ci parlano degli intermediari tra mondi così distanti, e le loro ali sono il segno di una sorta di unione possibile tra visibile e invisibile. Non solo nel soggetto dell'Annunciazione ma in tanti altri momenti delle storie sacre, le ali suggeriscono la potenza di qualcosa che viene dall'alto, con cui si combatte persino, che cade ribellandosi (l'Angelo caduto), ma che può dare conforto, tenerezza.
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P. Rizzo, Annunciazione, 1935, olio su tela, Galleria d'Arte Moderna, Latina. |
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Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto, 1597, olio su tela, Galleria Doria Pamphilj, Roma. |
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P. Gauguin, La visione dopo il Sermone, 1888, olio su tela, National Gallery of Scotland. |
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M. Basquiat, Angelo caduto, 1981, olio su tela, collezione privata. |
Eppure le ali non appartengono solo agli angeli, sono anche degli uomini che con la suggestione del volo si sono sempre confrontati: le ali spiegate oltre che strumento e marchingegno fisico per attraversare le distanze, come in Leonardo, sono soprattutto metafora del movimento e del desiderio di scoperta. Le ali rendono possibile l'esercizio della curiosità, evocano il viaggio in tutte le sue declinazioni e il viaggio per l'eccellenza che è l'esistere.
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Leonardo da Vinci, Codice del Volo, 1505 ca., Biblioteca Reale, Torino |
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J.M. Folon, Partir, 1990, acquaforte. |
Se l'uomo che vola di Folon, nell'illustrazione che appunto si intitola Partir, sembra servirsi dell'ala come un arto che bilancia gli altri già in dotazione, in un equilibrio mobile e aereo che sa di scoperta dolce e serena (sul pittore, scultore e illustratore vedi questo link) le ali sono anche il segno del sapere e del desiderio di sempre degli uomini e delle donne (desiderio di 'altezze', di infinito, di evoluzione, di metamorfosi, di nuove esperienze). Quel desiderio che non si può racchiudere, nemmeno in un libro, né per sempre.
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A. Kiefer, Il linguaggio degli uccelli, 1989, piombo, acciaio, legno, gesso, resina, |
Come nell' l'opera dell'artista tedesco Anselm Kiefer La lingua degli uccelli (Die Sprache der Vogel), dove ali enormi e forti lanciano l'idea della conoscenza che si libra per aria, che oltrepassa la materia stessa, senza la tracotanza o l'incoscienza di Icaro, ma con la consapevolezza del contrasto inevitabile tra la materia pesante e la leggerezza delle parole. E' la sfida del sapere e della conoscenza, qualcosa che non ti lascia identico a come eri prima. Risuona l'eco della storia, come spesso accade nell'opera di Kiefer che si confronta con il passato, con il tempo, con la possibilità di dare un senso agli accadimenti.
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R. Magritte, Il dominio di Arnheim, 1938, olio su tela, collezione privata. |
Quel contrasto tra pietra e nuvola, tra materie di consistenza diversa, si fa paradosso in René Magritte, che alle ali ha dedicato qualche immagine nella sua formulazione surrealista e spiazzante, come ne Il dominio di Arnheim, ispirato al racconto di Edgar Allan Poe: sembra suggerire che non c'è nulla di sovrannaturale a cui il pittore non possa dare forma (e che le prigioni possono essere ovunque? anche nella mente e nello sguardo che non sa andare oltre?).
E infine, le ali hanno il sapore della libertà, quella dimensione di pienezza o di aspirazione alla pienezza che ci tiene in vita, e che dobbiamo saper alimentare. Non importa quale sia il nostro stato, di angeli caduti o no, non importa che si sia donne o uomini vacillanti o capaci di volteggiare, almeno in grado di tenersi in equilibrio precario: la libertà va conquistata, sempre. E' il suggerimento di un'artista intensa e libera, Frida Kahlo, coraggiosa e attiva, ma che la caduta e il volo ha senz'altro sperimentato. Suo (o attribuito, i pareri sembrano discordanti) un dipinto, che non conoscevo.
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F. Kalho, Chiedono aeroplani e gli danno ali di paglia, 1938, olio su tela, collezione privata. |
Chiedono aeroplani e gli danno ali di paglia ritrae una bambina che tiene tra le mani un modellino di aeroplano, con indosso delle ali di paglia posticce legate con delle corde. La scritta in basso evoca un desiderio mancato, forse addirittura un raggiro, o forse chissà una denuncia, come tavolta anche se non spesso Frida fa nelle sue tele. Sicuramente l'immagine, per quanto in linea con la giocosità dell'artista messicana, ha il sapore della consapevolezza amara ma fortissima del desiderio: quello di essere pienamente e in modo autentico, con ali sincere e forti, sciogliendo nodi e corde che trattengono e imbrigliano l'immaginazione e la vita stessa. E proprio Frida, figura tormentata, capace di offrire un modello di femminilità non dimesso, a proposito di libertà, diceva: "Piedi, perché li voglio se ho ali per volare?”.
Come dire: costruiamo le nostre ali, del materiale che vogliamo, ma guardiamo in tutte le direzioni, in libertà e con slancio. Per volare talvolta bisogna avere il coraggio di tuffarsi e di rischiare.
E allora, buon volo a tutte e tutti!
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