Dietro le quinte di un capolavoro (con discrezione)
Lezione sulla pittura fiamminga. Dall'alto della LIM i coniugi Arnolfini di Jan van Eyck ci guardano seri. Si commenta la presenza dei molti oggetti che raccontano un evento solenne, le nozze. Un ragazzo chiede: 'Prof, ma siamo sicuri che il pittore voleva davvero dare un significato a tutte queste cose, non è che sono stati i critici che studiando tempo dopo hanno visto simboli che non c'erano?'.
ean van Eyck, I coniugi Arnolfini, 1434, olio su tavola, National Gallery, Londra. |
Domanda puntuale, che potremmo articolare in questo modo: su quali elementi ci basiamo per leggere e comprendere un'opera d'arte? Ed ancora: in cosa consiste il lavoro degli storici dell'arte? Come spesso succede una domanda genera tanti altri interrogativi.
Cercando di andare per ordine: ci accostiamo ad un'opera d'arte (che sia un dipinto, una scultura, un oggetto d'arredo, un manufatto o prodotto che presenta valenze estetiche, caratteristiche tecniche e un'intenzionalità espressiva) collocandola nell'ambito di un contesto storico-culturale. La conoscenza di quest'ultimo è imprescindibile per prendere contatto con l'oggetto in questione, e con il suo autore. Una cultura, un tempo e una società, plasmano infatti l'arte in tutte le sue declinazioni, e la relazione tra l'opera e il contesto dice già di un orientamento di fondo.
Quindi, se conosciamo un po' l'orizzonte e il modo di concepire l'arte in Europa, nel Rinascimento, possiamo immaginare, in un dipinto, collegamenti con il retroterra della società dell'epoca, in cui si guarda all'uomo come figura centrale ma in cui al contempo l'esercizio della religione è prassi. L'interesse per il sacro può dunque sconfinare nell'ambito tutto terreno e profano, come nel caso di un ritratto di due sposi. Ritratto: genere quanto mai 'umanistico', caro proprio ai fiamminghi, che racconta lo status, la dignità, il valore di uomini e donne. E in effetti la nostra tavola rappresenta uno dei primi esempi di ritratto privato. Approfondimenti sulla storia e i misteri dell'opera in questa ottima pagina di Wikipedia, e sul ritratto nel Rinascimento qui.
A proposito di ritratti: Robert Campin, Ritratto di uomo e Ritratto di donna, 1434-35, olio su tavola, National Gallery, Londra. |
Questi pochi elementi possono funzionare da timone. Non si legge un'opera come un unicum, una monade isolata dal resto, ma come una sorta di individuo che dialoga con tanti altri individui. Il retroterra potrebbe portarci allora a delle fonti letterarie, che dicono spesso del soggetto che viene raccontato, una storia sacra ad esempio (tratta dai Vangeli, scritture sacre, biografie di santi e testi in voga nell'epoca in esame), o una storia tratta dal mito, altra fonte inesauribile (come dalle Metamorfosi di Ovidio, un testo all'origine di infinità di opere, e ancora prima dall'Iliade e dall'Odissea di Omero). La conoscenza dell'esistenza dei rimandi ai testi è importante e aiuta a riconoscere i soggetti e a comprendere cosa significa un certo elemento, perchè proviene da un sorta di 'decalogo' (che poi gli artisti si divertano a interpretare ciascuno a modo proprio è altro discorso). Ecco che emerge il termine iconografia: descrizione di immagini, lo studio cioè dei significati a partire dalla identificazione e classificazione dei soggetti. Approfondimenti qui. L'aspetto iconografico va insieme a quello dell'iconologia, metodo di studio che indaga il significato culturale delle immagini.
E nel caso di un'immagine che non si colloca nell'ordine del sacro, ma in quello della vita di due ricchi signori del XV secolo? In questo caso facciamo ricorso allo studio della società e della cultura da cui proviene l'immagine. L'usanza di immortalare momenti solenni, con tutta la serietà e consapevolezza di cui si è capaci ('Perchè lui è così serio?'), con il genere del ritratto si diffonde tra Italia e Paesi Bassi a partire dal XV secolo (con grande soddisfazione dei signori che possono mettersi in vetrina), indossando abiti adeguati (la produzione tessile è rigogliosa nei Paesi Bassi dell'epoca e la pelliccia di marmotta di lui e di ermellino nel risvolto dell'abito di lei rivelano la loro agiatezza); omaggiando l'unicità dell'evento (ci si toglie le scarpe, per aderire al pavimento come nel Tempio di Gerusalemme delle Sacre scritture); includendo dei testimoni (l'artista è testimone per eccellenza, firma sulla parete 'Johannes de Eyck fuit hic', e si distingue nel dettaglio prodigioso dello specchio convesso appeso alla parete).
I Coniugi Arnolfini, dettaglio dello specchio. |
Già, lo specchio. Un dettaglio che è un tutto a sua volta, per la posizione tale da amplificare lo spazio e per il fatto di farci vedere qualcuno che sta al di fuori della scena. E poi si tratta di un oggetto in voga all'epoca, convesso e appeso alle pareti, dunque scelto in modo non casuale. E poi apre mondi, come fosse una soglia, una porta oltre la quale immaginiamo mondi sereni o inquietanti.
Senza divagare sullo specchio, di cui si parla qui, a proposito del gusto del dettaglio così forte nella tradizione fiamminga vorrei ricordare la lettura eccellente datane da Cesare Brandi. In un libro del 1960 lo storico parlava di Spazio italiano e ambiente fiammingo (Il Saggiatore). Credo che già nella scelta dei termini ci sia un confronto efficace tra le due tradizioni, che pure dialogarono intensamente. Ambiente: un'atmosfera che vive di luce, di piccole cose piacevoli da osservare, libri specchi scarpe vestiti frutta fiori etc. etc., che si costruisce nel sapore quotidiano e affettivo di interni o paesaggi di cui non avvertiamo sempre la razionalità di costruzione. Spazio: luogo che dialoga con le storie che vi si raccontano, organizzato secondo impianto e costruzione rigorosi e prospettici, unitari e non frammentari.
Ambiente fiammingo: Hugo van der Goes, Trittico Portinari, 1478 ca., olio su tavola, Galleria degli Uffizi, Firenze. |
Spazio italiano: anonimo, La città ideale, XV sec., olio su tavola, Galleria Nazionale di Urbino. |
Altri elementi che non dobbiamo dimenticare, necessari insieme all'indagine stilistica: lo studio dell'oggetto in quanto tale, con la sua fisicità che parla di quanto successo nel corso del tempo, riparazioni, mutilazioni, integrazioni, pentimenti, spostamenti, restauri e via dicendo, e delle consuetudini del tempo in termini di tecnica artistica e materiali; lo studio dei documenti che all'opera si riferiscono, documenti di archivio, lettere di incarico, atti notarili o patrimoniali, la bibliografia disponibile e da cercare, e quanto racconta di dove è stata avvistata, in mano di chi, per conto e da chi è stata fatta (con le problematiche dell'attribuzione che costituiscono un altro corposo capitolo), e via dicendo con le infinite varianti che trasformano spesso lo studio in vere e proprie indagini da detective.
Tutti questi elementi incrociati e l'ampia conoscenza - come diceva Zeri - della cultura dell'epoca in cui si situa l'oggetto, permettono in linea di massima di fare uno studio accurato. Sicuramente è importante ricordare tutto o parte del lavoro che sta dietro e dentro l'opera (il risultato di studi di storia dell'arte e delle tecniche, di storia della cultura e della politica, del gusto e della moda, dell'economia e quanto altro ancora), che ai ragazzi difronte al libro o alla LIM non è sempre dato cogliere (sono lì per imparare con noi). Eppure mi sembra interessante ricordare quanto ha scritto Federico Zeri: per quanto faremo non potremo mai raccogliere tutta la complessità di un'opera d'arte, perchè il passato appartiene solo al passato (Dietro l'immagine. Conversazioni sull'arte di leggere l'arte, Tea arte 1987). E anche se comprenderemo il registro storico e stilistico, il fatto stesso che tutto sia mutato nel tempo rende impossibile cogliere sfumature, significati e simboli che sono stati palesi solo a chi c'era.
Come dire, possiamo entrare dentro un'immagine, cercare di interrogarla e sentire le impressioni che si intrecciano ai pensieri e ai dati certi, ma dobbiamo anche poter fare un passo indietro e considerarla pur sempre un mistero.
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