La fiducia nei perché

Ricordo che molti anni fa il quotidiano che leggo con assiduità pubblicò una recensione di uno strano libro americano. Il libro proponeva centinaia di domande, talvolta paradossali, spesso bizzarre e curiose, ma sempre tali da farti fermare. Era qualcosa che ti portava a considerare l’importanza dei ‘perchè’, e soprattutto, la straordinaria possibilità che le domande proliferino in modo costruttivo, come grappoli, come rami su un albero immenso.
Penso spesso a quel libro - che non ho mai letto se non attraverso ciò che riportava il quotidiano - quando sono in classe con i miei studenti. Il lavoro di insegnante è bello e vario e porta a confrontarsi con ogni tipo di essere umano, e in particolare, con ogni tipo di essere umano in formazione, quando è in una fase di esplorazione e di definizione. La gioventù. Succede spesso, per fortuna, di imbattersi in studenti che sembrano avere una sola missione, un solo credo, una sola aspirazione: travolgerti di domande.

Ecco che i ‘perchè’ si accavallano e si dovrà stendere una sorta di mappa dei generi di ‘perchè’ prediletti, poiché anche se i quesiti sono sempre diversi è comunque possibile riconoscere come degli orientamenti che guidano sottotraccia, in base agli argomenti che si studiano e in base alle personalità. C’è la domanda che non manca mai su quanto tempo è stato impiegato per realizzare tele o costruire edifici, sul significato di un certo dettaglio che non avevi mai considerato, sul perché le donne sembrano talvolta uomini o gli uomini talvolta donne, sul perché le costruzioni dei romani sono ancora in piedi mentre i nostri ponti crollano, perché quella faccia è così brutta e via discorrendo. Le domande dei ragazzi anche quando sembrano banali sono dettate da curiosità e offrono prospettive inedite. Insomma, ci sono domande per ogni argomento, a dimostrazione della curiosità dei nostri giovani e del fatto che la libertà di pensiero viene ancora esercitata, ma deve anche essere riconosciuta, stimolata e accolta. Quindi nessuna mappa o lista sarà mai esaustiva.
Masaccio, Il tributo, 1425, cappella Brancacci, chiesa del Carmine, Firenze.




















Eppure, una domanda nei giorni scorsi mi ha colpito. Parlando della Cappella Brancacci di Masaccio (Firenze, 1425 ca.), difronte al Tributo, rispetto al fatto che Pietro viene invitato da Gesù ad andare a cercare i denari necessari per entrare nella città di Cafarnao presso il lago di Tiberiade, dove troverà un pesce che contiene le monete, la studentessa Arianna chiedeva: perché questa soluzione complicata? Se Gesù poteva fare miracoli perché non farseli ritrovare direttamente in tasca, i soldi?
Tra qualche risata e molti commenti, mi sono trovata come spesso accade spiazzata. Nessuno aveva mai posto una domanda del genere. Non nascondo la mia meraviglia, quando succede, perché si accende qualcosa e le domande diventano occasione per ragionare insieme e provare a rispondere (facendosi altre domande). ‘Sicuramente perché c’è un senso’, diceva una compagna. ‘Ma cosa doveva fare, diventare un mago? ma è Gesù!’ diceva un altro. La domanda apriva molte possibilità di lettura dell’opera in questione, e ne veniva fuori qualche riflessione su quel che vuol dire studiare storia dell’arte.

Intanto la semplificazione, ingenua ma in linea con i tempi. Perchè complicarsi la vita se posso immaginare soluzioni più semplici. Non è quel che facciamo ogni giorno? Perchè non osare di immaginazione e pensare a qualcosa di più comodo? Oggi basta un click, quasi per tutto.
Perchè la vita non è semplice, è difficile, è piena. O forse la vita è soltanto ‘complessa’, senza che questo voglia dire che venga disturbata. Anzi è fatta di così tante cose da avere bisogno di molte opere d’arte, da leggere da ascoltare da osservare da sperimentare, per provare ad orientarci.
Quando mi vengono in mente questi pensieri, mentre è in libreria dai primi di ottobre il libro di Alessandro Baricco The game, saggio sulla ‘mutazione’ digitale, mi chiedo come sarà possibile continuare a fare il nostro lavoro di insegnanti in un mondo che non solo cerca semplificazioni ma soprattutto che cerca e trova gratificazioni, e sempre più efficaci. Baricco nell’interessante testo parla della dimensione ‘festiva’ della nuova civiltà digitale, da comprendere e di cui capire gli ingranaggi, in contrapposizione alla civiltà dell’impegno grave del Novecento. Ma se il senso della realtà e della vita penso di trovarlo facilmente in un gesto - nuovo, rivoluzionario -, come quello di un click, se lo trovo nel reale/virtuale del web, come la mettiamo? Diciamo addio alla ricerca del nostro ‘senso’ per scegliere quello con più likes? Non ho la risposta, ho delle intuizioni, dei sentimenti, ma mi piacerebbe tanto sentire il Baricco. Mi piacerebbe confrontarmi con altri che avessero paura in fondo solo di una cosa, la sparizione delle domande e della voglia di andare incontro alla complessità, qualunque sia la strada che si sceglie.

Tornando alla mia classe, sulla scia della domanda ho provato a ragionare con loro e a dare un senso a quella scelta, che nasce nei testi sacri e che Masaccio segue come si conviene agli artisti: rappresentare fedelmente la storia, secondo quanto indicato dalle sacre scritture (Vangelo di Matteo). Dei denari all’interno di un pesce nelle acque di un lago: ha a che fare con il mestiere di Pietro, pescatore. E forse potrebbe avere a che fare con l’armonia e complessità della natura, con il ritornare a far parte del tutto che ci ospita e ci contiene. Esattamente come accade nel brano dell’affresco di Masaccio, dove lo spazio è unitario, è un tutto in cui si svolge la storia, grazie agli accorgimenti prospettici e ad un linguaggio visivo molto realistico.






E poi c’è il registro della fede, quel mistero che viene richiamato dall’arte rinascimentale, per cui si raccontano le storie sacre e il senso che propongono. Il mistero della fede, l’ignoto di ciò che è grande e ‘sacro’, cioè separato, distante da noi perché importante. Sacro: che attiene alla divinità, che è legato ad un valore trascendente; per estensione, quanto diventa inviolabile. Viene dal latino: sacer, sacro, ma anche maledetto, perché collegato a riti e posto sul limite tra ciò che separa bene e male. Un significato importante e difficile da dire, che prende forma anche nelle immagini dell’arte.
La studio dell’arte ci porta su quella soglia, restando rispettosi anche se non credenti quando ci sporgiamo oltre la soglia del ‘comprensibile’ e formuliamo domande. Mi stupisco sempre al pensiero che racconto ai miei ragazzi di queste faccende nell’epoca dei likes e di Instagram. Ma non è questa la fede? E cosa è la fede? Nell'ottica laica e umanistica nella quale mi muovo non è né solo logica né comodità, piuttosto è fede nell’altro, nella conoscenza, nello stupore, nella meraviglia della bellezza o di qualcosa di grande che ci sovrasta o con cui dialoghiamo, o qualcosa che finanche neghiamo. Per alcuni, molti, è anche fiducia in un’origine e in una sorta di ‘spiegazione’ al tutto.

La domanda di Arianna ci ha portato a ricordare quello che siamo, uomini di scienza e di sentimenti, uomini che usano la logica e alla logica si attengono, ma che sanno anche lasciarla andare, per vivere nell’arte, nella creatività, nel pensiero che immagina e fa andare lontano. Perchè non siamo fatti solo di innovazioni digitali ma soprattutto di pensieri e sentimenti che queste innovazioni abitano.


E poi ci ha ricordato anche una frase di Voltaire, secondo cui un uomo lo si riconosce più per le sue domande che per le sue risposte.




Commenti

  1. E' una bella riflessione sul porsi domande. Nel caso specifico, perchè Gesù chiede a Pietro di pescare un pesce per trovare il denaro per pagare il tempio, quando avrebbe potuto far comparire il denaro per magia? Direi che la risposta possa partire dalla considerazione che Gesù non è un mago, Gesù è, prima di tutto, un educatore. Ed un educatore rivoluzionario. Egli non ritiene giusto pagare la tassa al tempio, in quanto figlio di Dio, e dunque "libero" dalla contrattazione, dallo scambio, dalla compravendita del diritto di essere "figlio", e quindi nel pieno diritto di avere una relazione diretta con Dio, con il Padre. Gli esattori chiedono la tassa al povero Pietro, il quale, nella sua paura di affermare il diritto alla libertà di Cristo, afferma che Cristo pagherà la tassa. Gesù chiede a Pietro proprio questo; secondo te i figli devono pagare una tassa al padre? E Pietro non può che rispondere, che no, non la devono pagare. Solo allora Cristo manda Pietro a pescare il pesce dentro la cui bocca egli troverà una quantità di denaro tale da pagare l'ingresso per due persone; sè stesso e Cristo. Lo troverà nel pesce, perchè il pesce, il mare, è simbolo di caos. Lo troverà nel pesce perchè egli è stato pescatore, ma adesso è fratello di Cristo, ed in quanto tale, si è guadagnato il diritto di essere figlio di Dio esattamente come Cristo. Dunque, mandando Pietro a pescare il pesce, Cristo ha educato Pietro alla consapevolezza della nuova dignità raggiunta. E penso che questa possa essere una lesione per tutti.

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  2. Non ho molte competenze in materia dunque grazie delle precisazioni preziose.

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