Qual è stata l'ultima volta che siete stati in un museo? Personalmente, dall'inizio dell'anno ho avuto due occasioni: la prima per visitare la mostra su Antonello da Messina alla Galleria di Palazzo Abatellis di Palermo, la seconda rileggendo un libro di Thomas Bernhard, Antichi maestri. Cosa c'entra un museo con un romanzo? I musei non sono luoghi virtuali, d'accordo, sono luoghi fisici dove si custodiscono oggetti fisici (se non sono le opere smaterializzate delle mostre 'performative' molto in voga di questi tempi) ma possono essere luoghi di immaginazione, dove le arti visive incontrano altre forme di espressione, dove insomma a partire dagli oggetti custoditi possono avviarsi esperienze originali.
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Fotogramma da Band à part, di J.L. Godard, 1964. |
Mi sono venute in mente queste cose leggendo appunto il Bernhard di cui sopra, incisivo caustico e meraviglioso. Nel racconto si parla della figura del musicologo Reger, che un giorno sì un giorno no, da trent'anni, va al Kunsthistoriches Museum di Vienna per osservare L'uomo con barba bianca di Tintoretto. Tutto ruota intorno ai pensieri lucidi e affilati del personaggio, che vive il museo come l'unico posto per pensare - 'il mio luogo di produzione intellettuale' -, e da dove - seduto su quella che diventa la sua panca grazie alla complicità del custode Irrsigler - intreccia l'uno dietro l'altro ragionamenti e commenti sulla vita, sull'arte, sullo spirito del tempo, su Vienna, sul cattivo gusto, sugli antichi maestri. Il sapere che ci viene trasmesso, consegnato, inculcato o proposto - sembra domandarsi Bernhard attraverso Reger -, e che sta lì a materializzarsi nell'aspetto di un grande come Tintoretto, cosa è esattamente e dove ci porta? Di quali mentori abbiamo bisogno per diventare chi siamo, per essere vivi e per essere liberi?
Posto che secondo il Bernhard del libro 'l'essere umano pensante è per sua natura un essere umano infelice', quel che mi piace segnalare della mia lettura è proprio questo: il museo come luogo in cui pensare a briglia sciolta e da cui in un certo senso ritrovare le fila della propria esistenza.
E' una lettura forse curiosa ma interessante, da considerare in parallelo a quella comune: il museo come luogo polveroso, noioso e stantio, in cui nulla accade. E che spesso i ragazzi condividono, per fortuna non sempre: pinacoteche e gallerie possono essere per loro contenitori difficili e un po' ostili. Talvolta accade che i musei risultino respingenti, come quando ci si imbatte in pannelli esplicativi non propriamente alla portata di tutti. Visitando la mostra di Antonello, ad esempio, nonostante lo scrigno già prezioso in sé di Palazzo Abatellis, nonostante fossi rapita dalle tavole esposte, non ho potuto fare a meno di notare i testi di accompagnamento all'allestimento, scritti in un linguaggio eccessivamente ricercato per il visitatore medio.
Perchè i testi devono essere comprensibili solo a pochi? Perchè l'approccio deve essere esclusivamente scientifico e per 'addetti ai lavori' e non aperto ad una dimensione più genericamente culturale?
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Sala espositiva con Eleonora d'Aragona, di F. Laurana, XV secolo, Galleria di Palazzo Abatellis, Palermo. |
Bernhard non si scaglia contro i pannelli espositivi del museo viennese ma va giù duro contro guide e insegnanti a cui attribuisce senza mezzi termini lo sterminio di ogni entusiasmo e di ogni curiosità nei loro studenti. Agli antipodi di una scuola irregimentata che pensa in qualche modo pensieri già confezionati,
Bernhard ci propone il museo come luogo dell'irriverenza e nel quale esercitarsi in un pensiero critico che non si ferma davanti a nulla e che tutto è disposto a smontare e a rimontare: "(...) gli Antichi Maestri mi ripugnano profondamente, eppure io continuo a studiarli. Ma loro sono disgustosi (...). L'opera d'arte più grande e più significativa alla fin fine ristagna pesantemente nella nostra testa come un enorme grumo di volgarità e di menzogne, come un grumo di carne troppo grosso nello stomaco. Rimaniamo affascinati da un'opera d'arte eppure, alla fine, la troviamo ridicola".
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Tintoretto, Uomo con barba bianca, 1564, olio su tela, Kunsthistorisches Museum, Vienna. |
Ci vuole una grossa dose di coraggio per osare e Reger osa, pensa di un pensiero audace e controcorrente. Si rivolge con entusiasmo e con vitalità ai grandi, ai Tintoretto, agli Schumann o ai Goethe, ma il riconoscimento della loro importanza non gli impedisce di interrogarli fino a cercarne i difetti, che è un modo per riportarli ad una sorta di 'umanità': "In tutti questi quadri, se li studiamo con insistenza, constatiamo prima o poi una goffaggine, addirittura un vero e proprio errore, persino nelle creazioni più grandi e più significative, se siamo intransigenti, constatiamo un errore palese, che via via ci fa perdere il gusto per tutti questi quadri, forse perchè le nostre aspettative erano eccessive. Anche l'arte nel suo insieme non è altro infatti che un'arte di sopravvivere (...) l'arte insomma è il tentativo reiterato, che commuove persino l'intelligenza, di sbrogliarsela in questo mondo".
I pensieri di Bernhard e le passeggiate a Palazzo Abatellis mi hanno portato al mio personale immaginario museale. Al di là del loro aspetto vetusto o contemporaneo, al di là di come si pongono nei confronti dei visitatori, li penso come luoghi di scorribande nei territori dell'invenzione e dell'esperienza, in cui arti visive, letteratura, cinema e fotografia possono incontrarsi. Luoghi in cui si addensa la vita, quella delle opere custodite, quella dei visitatori e di chi vi lavora. Mi piace in effetti pensare alle opere d'arte come a delle persone, con cui potere dunque dialogare e perfino litigare, come Reger che si rivolge ai Grandi Maestri.
Le opere raccontano storie, portano con sé segreti e debolezze, sono destinate a trasformarsi nel tempo esattamente come la pelle, il carattere e l'aspetto tutto di una persona.
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Antonello da Messina, Ritratto di ignoto, 1465-1476, olio su tavola, Museo Mandralisca, Cefalù (PA). |
Le esperienze del cinema e della letteratura a proposito dei musei sono infinite, ricorderò soltanto un racconto in cui mi sono imbattuta per caso (dal momento che parlando di letteratura ho aperto il post):
Il silenzio dei musei, di Carlo Lucarelli, in un registro horror che ha i suoi antenati illustri in autori come E. Allan Poe (
Il ritratto ovale ad esempio). Nel breve racconto del 1995 i soggetti delle tele non si limitano a stare quieti nei loro spazi confinati alle pareti, ma sembrano scendere giù provocando lo sgomento dei custodi. Articolato e appassionante è lo scenario offerto dalla fotografia, dove l'indagine si rivolge ai temi più disparati.
Innumerevoli gli scatti 'rubati' da Erwitt, Cartier-Bresson, Scianna, e tantissimi altri, tra i musei del mondo.
Interessante il progetto che
Thomas Struth ha dedicato agli interni dei musei tra il 1989 e 1992,
Museum Photographs, in cui si indaga il rapporto tra quei grandi contenitori che sono i musei e gli osservatori. Si tratta di fotografie di ampio formato dal sapore lento e meditato, al contrario delle istantanee 'rubate' della fotografia di Cartier-Bresson, ad esempio, in cui è colta tutta la teatralità dello stare dentro lo spazio particolare dei musei. Le opere d'arte sono al centro dell'attenzione da parte degli avventori e sembrano proseguire nello spazio intorno, ma sono tavolta esse stesse il 'soggetto' da cui parte lo sguardo che si rivolge alle persone (interessanti i post sull'argomento su questo blog
finestresuartecinemaemusica.blogspot.com).
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Thomas Struth, Art Institut Museum of Art, Chicago. |
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Thomas Struth, Pergamon Museum, Berlino. |
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Thomas Struth, dalla serie Museum Photographs. |
Il fotografo brasiliano
Alecio De Andrade ha svolto nel corso di diversi anni un lavoro all'interno del Museo del Louvre rivolgendo la propria attenzione al rapporto di osservazione, coinvolgimento o indifferenza che si stabilisce tra le persone presenti nelle sale e le opere in esposizione:
Le Louvre et ses visiteurs. Incredibile quel che può succedere quando non si ha solo un dialogo tra osservatore ed opera d'arte ma quando si stabilisce una triangolazione tra macchina fotografica, osservatore ignaro e oggetto osservato. Sembra di assistere a delle apparizioni, e vanno di scena sentimenti e umanità varia.
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Dalla serie Il Louvre e i suoi visitatori, A. De Andrade. |
Un lavoro straordinario, che stravolge la percezione di particolari opere d'arte ovvero quelle dell'antichità, restituendo loro una dimensione di grande vitalità, è quello che
Mimmo Jodice ha dedicato alle sculture dei musei della città di Napoli e non solo, a partire dagli anni '80. Gli atleti di Villa dei Papiri acquistano nei suoi scatti in bianco e nero una tensione insospettata. Non si tratta più di sculture, di opere in pietra: quelli che vediamo, grazie alle inquadrature e alla magia di ombre e luci, sono corpi che si muovono, che corrono e palpitano. Soprattutto, sono volti che osservano e che tradiscono emozioni.
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Mimmo Jodice, Atleti della Villa dei Papiri di Ercolano, 1986. |
Un progetto molto divertente, nel solco della tradizione fotografica europea che cerca le situazioni più paradossali e irriverenti, è quello di
Stefan Draschan, che a partire dal 2013 ha colto momenti di sonno o di osservazione o di fusione tra osservatori e opere d'arte nei musei del mondo. Le sue immagini stupiscono per l'immediatezza e per la complicità che talvolta sembra instaurarsi tra visitatori e manufatti: sembra che abbiano scelto persino gli stessi abiti.
Altro che noia!
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