Dove sono i cattivi?

'Prof, come la mettiamo con i cattivi?'. La domanda del mio alunno non era posta proprio in questi termini, ma il senso della sua curiosità era: nel Rinascimento vediamo tante immagini sacre, Madonne e santi, ma nell'arte c'è spazio anche per i cattivi, ovvero per quelli che non vorremmo proprio vedere da nessuna parte?
Dopo sculture classiche, ritratti di imperatori, acquedotti e chiese, dopo immagini sacre a profusione, dopo le vicende artistiche che bene o male insieme ai ragazzi attraversiamo nel corso degli anni, la domanda mi è sembrata originale e fresca. Ma davvero l'arte ci racconta soprattutto della ricerca di armonia e perfezione, di ideali attraverso i quali migliorarci o dilettarci? Cosa ne è del lato oscuro, delle brutture e delle nefandezze dell'animo umano?

H. Bosh, Il trittico delle delizie (dettaglio), olio su tavola, 1480-1490, Museo del Prado, Madrid. 

Sappiamo bene che luce e ombra vanno di pari passo, che si abbracciano appasionatamente, eppure alla luce di questa diversa prospettiva ho voluto indagare il mio immaginario visivo: dove sono i cattivi? E soprattutto, chi sono? Rispondere, per niente facile.

In prima battuta ho cercato sul vocabolario. Cattivo è ciò che si oppone a buono, è qualcosa di malvagio, perverso, disposto al male e che al male pertiene; viene dal latino captivus, prigioniero, da capere, prendere, come nella locuzione 'prigioniero del diavolo', il cattivo per eccellenza. Alla luce di ciò, chi sono i cattivi e come si manifestano nell'arte? La faccenda è vasta e complessa.
Ho pensato alla funzione che la produzione artistica europea assume fin dalle origini, sfaccettata ma orientata da un lato verso il racconto della storia dei popoli e dall'altro verso l'indagine di una dimensione interiore, spirituale e poi religiosa. Per tanto tempo l'arte è affare di stato, cosa pubblica, e i cattivi in quest'ottica potrebbero rintracciarsi nei nemici. Il cattivo è il nemico che ci assedia, che ci tortura o che noi vincitori torturiamo. Il cattivo è forse il barbaro, colui che è diverso da noi e che vuole usurpare il nostro potere, il nostro territorio, il nostro denaro e le nostre genti, colui che vorremmo annientare e ricacciare oltre qualche confine. Inevitabile che il racconto per immagini che la storia ci ha consegnato sia soprattutto snocciolato dalla parte dei vincenti, anche se ci sono interessanti eccezioni. Le storie di battaglie e di guerre - reali o mitologiche - sono tante, mi vengono in mente gli avvoltoi della sumera Stele della vittoria che fanno a pezzi le teste dei nemici, dopo la vittoria su Umma, o ancora mi vengono in mente i combattimenti truci e violenti tra Zeus e i titani, proposti nel Grande fregio dell'Altare di Zeus di Pergamo. Quanta teatralità in queste battaglie, quanto pathos e retorica nei movimenti ad alta tensione muscolare, ma non potrebbe essere altrimenti nel cuore della città di Pergamo, dove i Pergameni hanno appenna sconfitto i Galati e dove si elabora un linguaggio artistico ricco in chiaro scuro ed emotivamente coinvolgente.

Stele della vittoria, pietra calcarea, 2450 a.C., Museo del Louvre, Parigi.
Atena e Alcioneo, dal Grande fregio dell'Altare di Zeus, marmo, 190-160 a.C., Pergamonmuseum, Berlino. 

Interessante è nella stessa città il Donario di Attalo, monumento di cui restano solo copie romane dei gruppi scultorei che lo costituivano, e che i cattivi e i nemici celebra con onore. Il Galata morente e il Galata suicida sono esempi di un'attenzione alla dimensione interiore di chi non ce l'ha fatta, originale e commovente. Il Galata si toglie la vita perchè vinto, perchè privato della dignità, ed è proprio la controparte che gli rende memoria innalzandolo a monumento e riconoscendo il suo valore (senza dimenticare che attraverso la disfatta altrui certamente si ha una conferma della propria vittoria).

Galata morente, copia romana del I secolo a.C. da originale in bronzo (230 a.C. ca.),
marmo,  Musei Capitolini, Roma.

Fortissima e labirintica è l'accezione di cattivo nel senso di colui che pratica vizi e peccati vari, ma solo una figura riunisce tutte le sfumature del concetto in un'unica soluzione, quella di diavolo: entità malvagia per antonomasia che nelle religioni identifica il male, l'odio, la tentazione, la distruzione. I testi sacri lo descrivono come Lucifero, Satana, dragone tentatore, ed è facilmente intuibile il potere che le immagini dell'arte hanno svolto nel corso dei secoli, dando volto e forma a tale essere perlopiù mostruoso e pauroso. Il diavolo si associa al terrore e alla follia, al diverso, a qualcosa tanto di umanoide quanto di bestiale: è l'iconografia che si diffonde soprattutto nel basso Medioevo, quando Satana è un mostro provvisto ora di corna ora di altri attributi, ripugnante e viscido, spesso intento a divorare uomini, come nelle rappresentazioni di Coppo di Marcovaldo nel Battistero di San Giovanni di Firenze, di Giovanni da Modena nella chiesa di San Petronio a Bologna, o ancora di Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova.

Giovanni da Modena, Inferno, affresco, 1410 ca., chiesa di San Petronio, Cappella Bolognini, Bologna. 

Giotto, Inferno (dettaglio), affresco, 1302 ca., Cappella degli Scrovegni, Padova.

Con il loro realismo simbolico tali rappresentazioni hanno talvolta qualcosa di buffo, ma per nulla ironiche dovevano apparire agli spettatori di secoli fa, quando la dimensione psicologica era profondamente differente, quando la Chiesa dettava legge in materia di morale e comportamenti e quando soprattutto si tendeva a rifuggire da quelle zone d'ombra sfumate e indefinibili, eppure potentissime e immense, che toccano non tanto il 'male', quanto ciò che non controlliamo. Ironiche sono le figure del cinquecentesco Hyeronimus Bosh, surreali, incisive e fortemente simboliche nel racconto di inferni dove chi ha peccato ne subisce di tutti i colori.

H. Bosch, Trittico delle delizie, dettaglio. 


Le chiese romaniche e gotiche d'Europa traboccano di capitelli, gargolle e rilievi che dicono della paura mista a fascinazione verso ciò che non si conosce: il diverso e l'incontrollabile che prende forma di sirena, di demone, di drago, di bestia dalle fauci che rischiano di fagocitarci. Paure che abitano tutte le culture in tutti i tempi, e che prendono per esempio la forma meravigliosa dei disegni ottocenteschi inquietanti e surreali di Odilon Redon, dove nella serie Dans le reve e in altri lavori, teste, animali, esseri vari evocano svariate sfumature emotive; o ancora la forma della follia come risvolto incontrollabile della cattiveria in Francisco Goya: Saturno che mangia i suoi figli, La danza delle streghe e ancora la celebre stampa Il sogno della ragione genera mostri, rimandano a vario titolo a oscurità che vorremmo non guardare dritto negli occhi. Ma chi sono i cattivi in certi casi? Una società cieca e avida, uomini superstiziosi e ipocriti, un potente che non ha alcuna lungimiranza, un credo che reprime e censura?

O. Redon, A Edgar Poe, L'oeil comme un ballon bizarre se dirige vers l'infini, litografia, 1882,
Bibliothèque Nationale de France, Parigi.

O. Redon, L'oeuf, litografia, 1885, Bibliothèque Nationale de France, Parigi.
F. Goya, Saturno che divora i suoi figli, olio su tela, 1819-1823, Museo del Prado, Madrid. 
F. Goya, La danza delle streghe, olio su tela, 1821-1823, Museo del Prado, Madrid. 

Lo spettro della cattiveria come risvolto di ciò che è pericoloso e incerto risuona in un'altra icona dell'arte settecentesca, l'Incubo, di Heinrich Fussli. Il suo Incubo è un manifesto sulla forza del sogno, sull'ignoto che si impossessa della nostra ragione quando ci addormentiamo. Secondo certe leggende nordiche durante il sonno può accadere che si ricevano delle visite da parte di mostri e demoni, soprattutto nel caso in cui il sonno lo stia facendo una persona di sesso femminile. L'opera dell'artista svizzero ebbe un successo clamoroso ed è da ricollegare alla cultura avida di mistero e di leggende dell'epoca, ma anche ad una lettura sottotraccia della sessualità e della femminilità: l'immagine presenta una netta contrapposizione tra l'essere mostruoso accovacciato sul torace della giovane, e la giovane stessa, abbandonata, morbida e luminosa, mentre la testa di un cavallo dagli occhi spiritati fa capolino attraverso un pesante tendaggio. Diversi i livelli di lettura ma è evidente che si parla di un'intimità, quella interiore, quella fisica e quella dell'ambiente ovattato nel quale si trovano i personaggi, così come si parla dell'abbandono di una donna e dell'essere vigile e presente da parte di altre figure, mostruose, scure e prive di quella grazia che invece appartiene al corpo riverso della giovane.

J. H. Fussli, L'incubo, olio su tela, 1781, Detroit Institut of Arts, Detroit.

Cattivo è chi eccede, chi deliberatamente sceglie la cattiva strada, chi uccide, tradisce, si abbandona alla lussuria, chi si abbandona all'ira e ai peccati capitali. Multiformi sono le forme che la cattiveria può prendere e mi vien dunque da dire che più che di 'cattivi' nell'arte si può parlare di sfumature del sentimento della cattiveria, in infinite modalità. Eppure, puntualmente, ricorre l'identificazione tra cattiveria/pericolosità e donna. Il diavolo tentatore può essere serpente ma anche figura femminile, così come il peccato può essere una donna tout court. Come ne Il peccato di Franz von Stuck, che ci propone una figura di donna accompagnata con disinvotura da un serpente immenso: entrambi ci guardano con atteggiamento di sfida, gli occhi di lei lampeggiano nell'oscurità. Non sappiamo cosa ci colpisce di più, se lo sguardo o il biancore latteo della pelle, non sappiamo dove sia il pericolo, più in lei o in nel serpente da cui certo non ci aspettiamo carezze. E' l'epoca di quello che è stato definito Il complesso di Salomè (Eva Di Stefano, Sellerio 1985), l'epoca della misoginia culturale e scientifica, quando dalla donna ci si aspetta che pensi solo al sesso ed in modo efferato e incontrollabile. Quante donne si susseguono nei romanzi e nelle pitture, nelle opere teatrali e musicali, donne che vanno controcorrente e che appaiono minacciose perchè non dedite alla casa ed all'amore coniugale e filiale. Salomé, Lulu, Nanà, Nora, donne vampiro e donne diafane come fantasmi, una schiera numerosa di femmine in una parola cattive.

F. von Stuck, Il peccato, olio su tela, 1909, Galleria d'Arte Moderna E. Restivo, Palermo.

G. Moreau, L'apparizione - Salomé, acquerello, 1875, Musée d'Orsay, Parigi.

Ma forse, in quel caso, è solo la cattiveria degli esseri umani che parla attraverso il genere sessuale femminile; forse sono gli uomini che hanno necessità di circoscrivere quel che appartiene all'essere umano in quanto tale ad una condizione ristretta, l'altra metà del cielo, con l'intento di controllare, arginare e sublimare chissà. Il discorso porta lontano, molto lontano, ha una sua attualità in periodi come i nostri in cui aleggia lo spettro di pericolosi ritorni al passato, in cui l'attacco alle donne è su tutti i giornali in forma di omicidio, violenza, abuso, sfruttamento, sfiducia (è di oggi la notizia che le redattrici dell'inserto Donne Chiesa Mondo, dell'Osservatore romano, si sono dimesse perchè esauste della discriminazione, si veda qui) ma è bello pensare che l'arte non sia solo manifestazione di una cultura, nel bene e nel male, con la sua forza e i suoi errori, ma che sia anche una delle possibilità - per tutti - di affrontare le paure più recondite, e con loro gli stereotipi, provando a praticare la libertà di pensiero. Queste poche immagini in fondo ci ricordano che i cattivi più terribili sono dentro di noi e sono i nostri demoni.

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