L'arte che seduce. Fino a dove ci spingiamo per possedere un capolavoro?
'Prof, voglio diventare ricco. Così posso comprarmi quel quadro!'. Il dipinto che raccoglie tanto entusiasmo è di Raffaello: la bella e perturbante Fornarina. Nella stessa classe e nella stessa occasione altri due alunni mi chiedono quanto potrebbe valere un 'pezzo' dell'affresco della Scuola di Atene, sempre a firma di Raffaello. 'Potremmo provare a rubarlo...!'. Ribadito che le opere d'arte non si rubano e che è cosa buona non rubare un bel niente in generale, nello scambio di idee con i miei simpatici alunni mi è piaciuto intuire, al fondo, un sincero coinvolgimento. C'era del trasporto nelle loro parole, sembrava che avessero scoperto qualcosa: delle forme, degli sguardi, dei gesti nuovi.
Cosa siamo disposti a fare per possedere qualcosa che ci piace? Cosa arriviamo a fare quando siamo coinvolti e sedotti da un'immagine o da un oggetto artistico? Mi sono venuti in mente due tipi di 'azioni', quelle costruttive, anche se possessive e quindi esclusive, e quelle più iraconde e violente. Alla base, sentimenti molto forti; ma l'arte può provocare questo tipo di reazione.
La storia è ricca di furti clamorosi e non sempre possiamo ritracciarne all'origine il desiderio di far soldi. Pensate a Vincenzo Peruggia che per spirito patriottico rubò nel 1911 la Gioconda: voleva che tornasse in Italia. Il furto, accompagnato da clamore internazionale, fu però sventato nell'arco di qualche mese - giusto il tempo di tenerla a casa propria, anche se ben nascosta. Immaginare il Louvre dell'epoca è difficile: controlli quasi inesistenti, libera circolazione di pittori che avevano il permesso di fare delle copie, assenza di vetri di protezione. Non si può dire siano stati mossi da amor di patria altri furti celebri, come quello che riguarda la Natività del Caravaggio, sottratta all'Oratorio di San Lorenzo di Palermo nel 1969. Da un'inchiesta del 2018 pare che nel nostro paese vengano rubate 20 mila opere ogni anno, per un giro d'affari mondiale di circa 9 miliardi di euro (L'Espresso). L'arte smuove denari e attira di conseguenza anche le mafie e la Natività è passata forse dalle mani di Totò Riina a quelle dei Badalamenti e di Messina Denaro. Si dice sia stata trafugata in Svizzera grazie all'aiuto di un antiquario e che non sia andata distrutta, anche se forse è stata smembrata in quattro parti. Fatto sta che non se ne sa più nulla, e che il regista Roberto Andò ci ha fatto un film (Una storia senza nome, 2018).
Altra celebrità su cui i ladri si sono accaniti ben due volte è l'Urlo di Munch: primo furto nel 1994, secondo furto nel 2004. In entrambi i casi la preziosa icona è stata ritrovata. Il museo di Oslo ha a quel punto attivato misure di sicurezza più efficaci.
Eppure il furto non è l'unica soluzione, può accadere che le opere d'arte provochino intensi moti di rabbia o di ribellione, o altre emozioni estreme. Uno dei gesti più celebri (tristemente) riguarda un'icona del Rinascimento italiano, la Pietà di Michelangelo. Nel maggio del 1972 l'ungherese naturalizzato australiano Làslo Tòth si scaglia contro la scultura, gridando secondo alcune versioni 'Dio sono io! Che ci fa questa scultura qui, sono io Dio reincarnato!'. Sta di fatto che la bellissima Maria di San Pietro si vide deturpata nel naso e nel braccio sinistro, per un totale di 15 fratture e che dopo i restauri fu protetta con vetri antiproiettili. Difficile stabilire cosa accade nella mente di tali persone (a Toth fu attribuito uno stato di infermità mentale), l'unica cosa che vorrei segnalare è il rapporto intenso e quasi carnale che si stabilisce: da un lato l'atto vandalico - come se l'eliminazione dell'oggetto potesse ristabilire un qualche ordine - dall'altro l'atto ben più gentile e affettuoso: pensiamo ai baci con cui venivano consumate le sculture o i dipinti verso cui si rivolgeva la devozione nel corso del Medio Evo e del Rinascimento. E' la sorte del San Girolamo di Antonello da Messina, della Pinacoteca Civica di Reggio Calabria, in cui il colore del volto è stato asportato a poco a poco ma inesorabilmente dal contatto; o della statua di San Pietro della Basilica di san Pietro: il piede destro è stato letteralmente consumato dai baci dei fedeli (si veda F. Zeri, Dietro l'immagine. Conversazione sull'are di leggere l'arte, Milano 1987).
Sulla scia dell'amore e della devozione che portano ad avvicinare, toccare, baciare, cercare con il corpo, mi viene in mente una delle esperienze più affascinanti e misteriose della modernità - e non solo -, quella del collezionismo. Il desiderio di possedere e di contemplare in modo privato ed esclusivo, nell'orizzonte di un 'sistema' ovvero quello del gruppo di cui l'ultimo oggetto acquisito fa sempre parte, è alla base di uno slancio studiato da più parti, da Walter Benjamin (Parigi capitale del XX secolo, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica) alla psicanalisi. Il collezionista possiede per fare ordine, per sfuggire alla frammentazione e al caos, per mettere fine alla disgregazione, per un amore ossessivo e totalizzante che giunge a toccare l'artista stesso. Le cose, gli oggetti, portano con sé ricordi, idee, sentimenti, ci parlano sempre di qualcuno che abbiamo amato e che continuiamo ad amare attraverso un simulacro. Tantissime le opere che hanno acceso gli slanci e la passione (qualcuno ha scritto che il collezionista è sempre una persona estremamente passionale): giusto per citarne una che mette insieme personalità di differente orizzonte, L'isola dei morti di Arnold Bocklin, amata con annesso desiderio di possesso nientedimeno che da D'Annunzio, Dalì, Freud, Strindberg e Hitler. Quest'ultimo ne acquistò una delle cinque versioni, la terza, nel 1930, poi scomparsa dalla circolazione dopo essere stata nelle mani del Reich, per tornare alla ribalta in anni successivi. Oggi si trova a Berlino, alla Alte Nationalgalerie.
Talvolta però non è necessario possedere ingenti capitali per permettersi il lusso di osservare a tu per tu l'opera dei nostri sogni, l'oggetto del nostro desiderio: con un'abile strategia di marketing in questi giorni Airbnb e il Museo del Louvre propongono un concorso per trascorrere una 'notte al museo', in compagnia di lei, sì proprio lei. Si ha tempo fino al 12 aprile per scrivere un testo di 800 caratteri che risponda alla domanda 'Perchè saresti l'ospite perfetto di Monna Lisa?'. Per partecipare è richiesto un account alla piattaforma oramai nota in tutto il mondo, al vincitore spetterà una notte al cospetto del ritratto più famoso del mondo, con tanto di accompagnatore a scelta, brindisi e cena organizzata nei locali del museo. Insomma, un'occasione davvero straordinaria, forse divertente, forse un po' troppo aggressiva, ma senz'altro efficace in termini di marketing e di pubblico (il Louvre si assesta sui 10 milioni di visitatori annui) fondata sulla condivisione di un desiderio: in molti, o tutti, aspiriamo ad avere un rapporto esclusivo e diretto con le opere d'arte che ci seducono. Anche se, durante le mie lezioni, mi accade di imbattermi in alunni che per nulla al mondo vorrebbere ritrovarsi soli con la Gioconda. C'è chi prova sentimenti di paura, terrore e inquietudine di fronte ai suoi occhi, come se materializzassero qualcosa di pericoloso e perfido.
Non so che sentimenti abbia provato Vaclav Pisvejc mentre si scagliava con forza contro l'artista serba Marina Abramovic, ma sicuramente non si trattava di sentimenti benevoli. Al contrario, c'era in ballo della rabbia, se non odio. L'episodio è del settembre del 2018, quando in occasione della mostra di Abramovic al Palazzo Strozzi di Firenze, The Cleaner, l'uomo, lui stesso artista, si avvicina a quella che possiamo considerare una delle figure più note dell'arte contemporanea. Abramovic ha riportato di avere visto l'uomo avvicinarsi con un dipinto in mano, un ritratto della stessa donna, e di avere pensato a un regalo. Il dipinto si è invece trasformato in arma, scagliato contro la testa dell'artista che si è ritrovata intrappolata nella cornice. 'L'ho fatto per la mia arte', avrebbe detto Pisvejc. Il messaggio è di difficile interpretazione, forse si potrebbe rintracciare nella frase un timido desiderio di ritorno ad un'arte più limpida, meno criptica e vaticinante. O forse di ritorno ad un atteggiamento più chiaro e limpido. Fatto sta che qui il sentimento forte e violento porta a scagliarsi non tanto contro l'opera ma contro l'autore in prima persona, contro il suo corpo, come se il dialogo fosse diventato ancora più viscerale. E poi, ad un'artista che si cimenta nella performer art si risponde con un gesto che diventa a sua volta performance, anche se teso ad evidenziare un contrasto: un dipinto tradizionale contro la testa di una donna che la pittura l'ha bell'e abbandonata. Un gesto violento contro un'artista che del rimprovero della violenza ha fatto uno dei suoi messaggi più importanti, ma che comunque, suo malgrado, è diventata una sorta di superstar del panorama artistico internazionale. In qualche modo lei stessa è diventata una Pietà o una Natività.
Ho ricordato qualche furto, dei gesti violenti, ma anche dei baci teneri e molta ammirazione. Tra amore e violenza sembra che l'arte possa spingere le persone a gesti inconsulti e imprevedibili, come se scuotesse qualcosa di profondo e incontrollabile. Paradossalmente, proprio l'arte però potrebbe venirci in aiuto. Mi rendo conto di avere avuto in mente come una sorta di sottofondo, durante la scrittura di tutto il post, un libro che mi ha molto colpito, anni fa, e che propone una visione dell'arte esattamente in questi termini: uno strumento per vivere meglio, per amare e conoscere meglio, anche le passioni più difficili e scottanti, L'arte come terapia, di A. de Botton e J. Armostrong (Guanda 2013). Nulla che abbia a che vedere con laboratori e terapie per guarire da malesseri o disagi, ma solo l'arte come qualcosa che ci parla da vicino delle nostre vite, ben lontano dall'idea di un'arte fine a se stessa e come ricerca di una qualche astratta bellezza: "L'arte che all'inizio ci sembra lontana perché ci propone idee e atteggiamenti non comuni negli ambienti a noi familiari è qualcosa di prezioso, che ci serve per affrontare con pienezza la nostra umanità. Nella nostra cultura enfaticamente laica ed egualitaria vanno perduti pensieri importanti (...). Non tutto ciò di cui abbiamo bisogno è a portata di mano in ogni luogo o epoca, ma è quando troviamo punti di contatto con ciò che ci è estraneo che riusciamo a crescere".
E allora, non è detto che potremo conquistarci facilmente ciò che non è a portata di mano, ma l'essenziale è desiderare e riconoscere le nostre emozioni e i nostri sentimenti. E viverli, anche grazie alle immagini che ci seducono e ci turbano (e senza rubare!).
Cosa siamo disposti a fare per possedere qualcosa che ci piace? Cosa arriviamo a fare quando siamo coinvolti e sedotti da un'immagine o da un oggetto artistico? Mi sono venuti in mente due tipi di 'azioni', quelle costruttive, anche se possessive e quindi esclusive, e quelle più iraconde e violente. Alla base, sentimenti molto forti; ma l'arte può provocare questo tipo di reazione.
Raffaello, La Fornarina, 1518, olio su tavola, Palazzo Barberini, Roma. |
La storia è ricca di furti clamorosi e non sempre possiamo ritracciarne all'origine il desiderio di far soldi. Pensate a Vincenzo Peruggia che per spirito patriottico rubò nel 1911 la Gioconda: voleva che tornasse in Italia. Il furto, accompagnato da clamore internazionale, fu però sventato nell'arco di qualche mese - giusto il tempo di tenerla a casa propria, anche se ben nascosta. Immaginare il Louvre dell'epoca è difficile: controlli quasi inesistenti, libera circolazione di pittori che avevano il permesso di fare delle copie, assenza di vetri di protezione. Non si può dire siano stati mossi da amor di patria altri furti celebri, come quello che riguarda la Natività del Caravaggio, sottratta all'Oratorio di San Lorenzo di Palermo nel 1969. Da un'inchiesta del 2018 pare che nel nostro paese vengano rubate 20 mila opere ogni anno, per un giro d'affari mondiale di circa 9 miliardi di euro (L'Espresso). L'arte smuove denari e attira di conseguenza anche le mafie e la Natività è passata forse dalle mani di Totò Riina a quelle dei Badalamenti e di Messina Denaro. Si dice sia stata trafugata in Svizzera grazie all'aiuto di un antiquario e che non sia andata distrutta, anche se forse è stata smembrata in quattro parti. Fatto sta che non se ne sa più nulla, e che il regista Roberto Andò ci ha fatto un film (Una storia senza nome, 2018).
Altra celebrità su cui i ladri si sono accaniti ben due volte è l'Urlo di Munch: primo furto nel 1994, secondo furto nel 2004. In entrambi i casi la preziosa icona è stata ritrovata. Il museo di Oslo ha a quel punto attivato misure di sicurezza più efficaci.
Caravaggio, Natività, 1600, olio su tela. |
E. Munch, L'urlo, 1893, olio su cartone, Galleria Nazionale, Oslo. |
Eppure il furto non è l'unica soluzione, può accadere che le opere d'arte provochino intensi moti di rabbia o di ribellione, o altre emozioni estreme. Uno dei gesti più celebri (tristemente) riguarda un'icona del Rinascimento italiano, la Pietà di Michelangelo. Nel maggio del 1972 l'ungherese naturalizzato australiano Làslo Tòth si scaglia contro la scultura, gridando secondo alcune versioni 'Dio sono io! Che ci fa questa scultura qui, sono io Dio reincarnato!'. Sta di fatto che la bellissima Maria di San Pietro si vide deturpata nel naso e nel braccio sinistro, per un totale di 15 fratture e che dopo i restauri fu protetta con vetri antiproiettili. Difficile stabilire cosa accade nella mente di tali persone (a Toth fu attribuito uno stato di infermità mentale), l'unica cosa che vorrei segnalare è il rapporto intenso e quasi carnale che si stabilisce: da un lato l'atto vandalico - come se l'eliminazione dell'oggetto potesse ristabilire un qualche ordine - dall'altro l'atto ben più gentile e affettuoso: pensiamo ai baci con cui venivano consumate le sculture o i dipinti verso cui si rivolgeva la devozione nel corso del Medio Evo e del Rinascimento. E' la sorte del San Girolamo di Antonello da Messina, della Pinacoteca Civica di Reggio Calabria, in cui il colore del volto è stato asportato a poco a poco ma inesorabilmente dal contatto; o della statua di San Pietro della Basilica di san Pietro: il piede destro è stato letteralmente consumato dai baci dei fedeli (si veda F. Zeri, Dietro l'immagine. Conversazione sull'are di leggere l'arte, Milano 1987).
Michelangelo, La Pietà, 1499, Basilica di San Pietro; foto dell'atto vandalico (da wikipedia.org). |
Arnolfo di Cambio, San Pietro benedicente, XIII sec., Basilica di San Pietro. |
Sulla scia dell'amore e della devozione che portano ad avvicinare, toccare, baciare, cercare con il corpo, mi viene in mente una delle esperienze più affascinanti e misteriose della modernità - e non solo -, quella del collezionismo. Il desiderio di possedere e di contemplare in modo privato ed esclusivo, nell'orizzonte di un 'sistema' ovvero quello del gruppo di cui l'ultimo oggetto acquisito fa sempre parte, è alla base di uno slancio studiato da più parti, da Walter Benjamin (Parigi capitale del XX secolo, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica) alla psicanalisi. Il collezionista possiede per fare ordine, per sfuggire alla frammentazione e al caos, per mettere fine alla disgregazione, per un amore ossessivo e totalizzante che giunge a toccare l'artista stesso. Le cose, gli oggetti, portano con sé ricordi, idee, sentimenti, ci parlano sempre di qualcuno che abbiamo amato e che continuiamo ad amare attraverso un simulacro. Tantissime le opere che hanno acceso gli slanci e la passione (qualcuno ha scritto che il collezionista è sempre una persona estremamente passionale): giusto per citarne una che mette insieme personalità di differente orizzonte, L'isola dei morti di Arnold Bocklin, amata con annesso desiderio di possesso nientedimeno che da D'Annunzio, Dalì, Freud, Strindberg e Hitler. Quest'ultimo ne acquistò una delle cinque versioni, la terza, nel 1930, poi scomparsa dalla circolazione dopo essere stata nelle mani del Reich, per tornare alla ribalta in anni successivi. Oggi si trova a Berlino, alla Alte Nationalgalerie.
A. Bocklin, L'isola dei morti, 1883, olio su tela, Berlino, Alte Nationalgalerie. |
Wunderkammer, XVII sec., Galleria Nazionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, Palermo. |
Talvolta però non è necessario possedere ingenti capitali per permettersi il lusso di osservare a tu per tu l'opera dei nostri sogni, l'oggetto del nostro desiderio: con un'abile strategia di marketing in questi giorni Airbnb e il Museo del Louvre propongono un concorso per trascorrere una 'notte al museo', in compagnia di lei, sì proprio lei. Si ha tempo fino al 12 aprile per scrivere un testo di 800 caratteri che risponda alla domanda 'Perchè saresti l'ospite perfetto di Monna Lisa?'. Per partecipare è richiesto un account alla piattaforma oramai nota in tutto il mondo, al vincitore spetterà una notte al cospetto del ritratto più famoso del mondo, con tanto di accompagnatore a scelta, brindisi e cena organizzata nei locali del museo. Insomma, un'occasione davvero straordinaria, forse divertente, forse un po' troppo aggressiva, ma senz'altro efficace in termini di marketing e di pubblico (il Louvre si assesta sui 10 milioni di visitatori annui) fondata sulla condivisione di un desiderio: in molti, o tutti, aspiriamo ad avere un rapporto esclusivo e diretto con le opere d'arte che ci seducono. Anche se, durante le mie lezioni, mi accade di imbattermi in alunni che per nulla al mondo vorrebbere ritrovarsi soli con la Gioconda. C'è chi prova sentimenti di paura, terrore e inquietudine di fronte ai suoi occhi, come se materializzassero qualcosa di pericoloso e perfido.
Non so che sentimenti abbia provato Vaclav Pisvejc mentre si scagliava con forza contro l'artista serba Marina Abramovic, ma sicuramente non si trattava di sentimenti benevoli. Al contrario, c'era in ballo della rabbia, se non odio. L'episodio è del settembre del 2018, quando in occasione della mostra di Abramovic al Palazzo Strozzi di Firenze, The Cleaner, l'uomo, lui stesso artista, si avvicina a quella che possiamo considerare una delle figure più note dell'arte contemporanea. Abramovic ha riportato di avere visto l'uomo avvicinarsi con un dipinto in mano, un ritratto della stessa donna, e di avere pensato a un regalo. Il dipinto si è invece trasformato in arma, scagliato contro la testa dell'artista che si è ritrovata intrappolata nella cornice. 'L'ho fatto per la mia arte', avrebbe detto Pisvejc. Il messaggio è di difficile interpretazione, forse si potrebbe rintracciare nella frase un timido desiderio di ritorno ad un'arte più limpida, meno criptica e vaticinante. O forse di ritorno ad un atteggiamento più chiaro e limpido. Fatto sta che qui il sentimento forte e violento porta a scagliarsi non tanto contro l'opera ma contro l'autore in prima persona, contro il suo corpo, come se il dialogo fosse diventato ancora più viscerale. E poi, ad un'artista che si cimenta nella performer art si risponde con un gesto che diventa a sua volta performance, anche se teso ad evidenziare un contrasto: un dipinto tradizionale contro la testa di una donna che la pittura l'ha bell'e abbandonata. Un gesto violento contro un'artista che del rimprovero della violenza ha fatto uno dei suoi messaggi più importanti, ma che comunque, suo malgrado, è diventata una sorta di superstar del panorama artistico internazionale. In qualche modo lei stessa è diventata una Pietà o una Natività.
L'artista Marina Abramovic (Belgrado, 1946) in una performance degli anni '70. |
Ho ricordato qualche furto, dei gesti violenti, ma anche dei baci teneri e molta ammirazione. Tra amore e violenza sembra che l'arte possa spingere le persone a gesti inconsulti e imprevedibili, come se scuotesse qualcosa di profondo e incontrollabile. Paradossalmente, proprio l'arte però potrebbe venirci in aiuto. Mi rendo conto di avere avuto in mente come una sorta di sottofondo, durante la scrittura di tutto il post, un libro che mi ha molto colpito, anni fa, e che propone una visione dell'arte esattamente in questi termini: uno strumento per vivere meglio, per amare e conoscere meglio, anche le passioni più difficili e scottanti, L'arte come terapia, di A. de Botton e J. Armostrong (Guanda 2013). Nulla che abbia a che vedere con laboratori e terapie per guarire da malesseri o disagi, ma solo l'arte come qualcosa che ci parla da vicino delle nostre vite, ben lontano dall'idea di un'arte fine a se stessa e come ricerca di una qualche astratta bellezza: "L'arte che all'inizio ci sembra lontana perché ci propone idee e atteggiamenti non comuni negli ambienti a noi familiari è qualcosa di prezioso, che ci serve per affrontare con pienezza la nostra umanità. Nella nostra cultura enfaticamente laica ed egualitaria vanno perduti pensieri importanti (...). Non tutto ciò di cui abbiamo bisogno è a portata di mano in ogni luogo o epoca, ma è quando troviamo punti di contatto con ciò che ci è estraneo che riusciamo a crescere".
E allora, non è detto che potremo conquistarci facilmente ciò che non è a portata di mano, ma l'essenziale è desiderare e riconoscere le nostre emozioni e i nostri sentimenti. E viverli, anche grazie alle immagini che ci seducono e ci turbano (e senza rubare!).
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