'La cultura non si arrende'. L'arte che insegna la libertà


Nei miei ancora pochi anni di insegnamento ho scoperto che ci sono alcuni aspetti della storia dell’arte che i ragazzi tendono a ricordare con più facilità. Si tratta di quegli episodi o esperienze che hanno a che vedere con i registri più intimi dell’esistenza. Esattamente quegli stessi registri che si prestano alla censura, che fanno gridare allo scandalo e che talvolta aprono dibattiti. Dove si parla di vita e di emozioni, di libertà e di passioni, l'attenzione si fa più forte.

Ad esempio, arriva il momento in cui si studia Michelangelo, un grandissimo del Rinascimento, e arriva il momento in cui gli studenti sorridono difronte alle coperture applicate da Daniele da Volterra, colui che è rimasto tristemente noto nella storia come il ‘braghettone’, per aver messo appunto le 'mutande' ai nudi maestosi e terribili del Giudizio Universale della Cappella Sistina.
Correva l’anno 1565, in piena Controriforma le nudità michelangiolesche risultavano per la morale dell’epoca insopportabili, nonostante non si trattasse di immagini sensuali o volgari, ma solo della rappresentazione di un momento capitale per l'uomo credente: quando dinnanzi al sommo giudice prende atto dell'essere dannato o beato. La pittura di Michelangelo trasmette tutta l'intensità dell'episodio narrato nell'Apocalisse, racconta del viaggio che l'uomo intraprende al cospetto di Dio Padre quanto al cospetto della propria coscienza. La nudità di Michelangelo è essenziale, ha il sapore della ricerca estrema di verità; una nudità di cui vengono certo messe in evidenza la bellezza e la forza, nel momento stesso in cui tali corpi non riescono a celare la loro inquietudine e la loro sofferenza. Chissà cosa direbbero oggi i prelati del XVI secolo, sapendo che il Buonarroti è stato accostato ad un esponente della scena underground come Robert Mapplethorpe? L'associazione può turbare i più pruriginosi (purtroppo un tale coup de génie non è mio, mi limito a condividere l'accostamento) ma sfido a trovare qualcosa di più limpido e classico che non sia rintracciabile anche nei corpi in bianco e nero del fotografo americano. 



Al ricordo delle foglie di fico-braghette i ragazzi sorridono e scorgo nelle loro espressioni una freschezza che attribuisco alla capacità di guardare alla sostanza, senza perdersi in fronzoli e paraventi. Come se cogliessero in profondità il senso della vicenda. 

Sono numerosi i casi di censura che si incrociano studiando la storia dell'arte, si va dall'esempio di Michelangelo a quello dei progenitori di Masaccio della Cappella Brancacci di Firenze, al Caravaggio che nel Seicento destava scandalo per il suo ricorso a modelli non propriamente in linea con la santità dei personaggi a cui prestavano il volto. E' il caso della Morte della Vergine, intensa tavola in cui la vergine pare abbia il volto di una prostituta rinvenuta morta nelle acque del Tevere. La meraviglia, i dubbi e le domande dei ragazzi si fanno in questi casi incalzanti, sono sempre disposti a ragionare insieme a chi li accompagna e li aiuta nello scoprire le storie e i personaggi, nello sviluppare le loro idee, nel farsi insomma un'opinione consapevole rispetto a quanto studiato. Qualcuno rintraccia gli estremi di una certa basfemia in un Caravaggio così sfrontato, qualcun altro evoca invece il genio di chi si avvicina a un'umanità ancora più vera, quella degli umili e di chi soffre, altri vedono nell'autore lombardo il guizzo del rivoluzionario, ma se la discussione è ampia, ricca di riferimenti, priva di pregiudizi e corretta nei contenuti, ecco che accade la cosa più bella che possa succedere a un insegnante: i ragazzi elaborano una propria idea e prendono posizione, liberamente e felicemente. 


Caravaggio, Morte della Vergine, 1605-1606, olio su tavola, Museo del Louvre, Parigi. 

La censura si fa più complessa da elaborare, quindi misteriosa, quando riguarda epoche a noi più vicine: ricordiamo la nudità campestre del Déjeneur sur l'herbe di Edouard Manet, dipinto oltraggioso per molti parigini nel 1863 (la donna che vi guarda fiera è riconoscibile, è la Victorine Meurent tanto apprezzata dall'artista); ricordiamo i nudi di Amedeo Modigliani, esposti alla Galleria Berthe Weile di Parigi il 3 dicembre del 1917 e talmente scandalosi da far arrivare la polizia nei locali della mostra, inaugurata e chiusa nell'arco di un solo giorno. Si tratta di nudi femminili talvolta introversi talvolta sfacciati ma comunque eleganti, sempre intensi, classici nella resa del corpo che mantiene un qualcosa di architettonico e ieratico, moderni nell'impaginazione e nell'uso del colore. E che dire di Egon Schiele, folgorante artista che ci ha lasciato autoritratti e nudi di rara intensità, dove il corpo è in preda tanto all'angoscia quanto talvolta voluttuoso, dove la nudità non ha nulla di pornografico perchè racconta della ricerca nervosa di una identità e della presenza del dolore. Un artista che ha pagato con il carcere la sua maniera di esprimersi e che è stato soggetto a censura persino l'anno scorso, in occasione della mostra che a Vienna celebrava il centenario della sua morte. 

Edouard Manet, Le déjeneur sur l'herbe, olio su tela, 1863, Musée d'Orsay, Parigi.

Amedeo Modigliani, Grande nudo, 1917, olio su tela, MOMA, New York.

Egone Schiele, Autoritratto, 1910, matita e tempera, Albertina Museum, Vienna. 

Libertà, parola bellissima sulla quale non si dovrebbe mai smettere di riflettere, che ci conduce all'arte del Novecento. Cosa succede infatti quando la censura colpisce un modo di intendere l'arte non in linea con la tradizione artistica e dunque non solo le nudità, ma il pensiero che vi sta dietro, il modo stesso di intendere la vita? Lì il tema si fa più complesso ma urgente: da un lato offre l'occasione per riflettere su come si forma il 'gusto' nelle società e nelle culture, e sulla necessità di imparare a dialogare con quanto non comprendiamo, il diverso; dall'altro offre l'occasione per riflettere sull'importanza dello studio della storia e della storia dell'arte, perchè ci parla di anche di diritti e di passioni. 
Perchè l'arte del Novecento apre i battenti nel nome di un solo credo: la libertà, totale e sferzante, gridata attraverso i colori accesi e taglienti dei Fauves o degli Espressionisti della Brucke, declinata nelle forme insolite di Cubisti, Futuristi, Astratttisti e Surrealisti; rivendicata attraverso le scelte più audaci che vanno dal coraggio di rinnovare la rappresentazione della figura umana di un Picasso, accostata a maschere tribali ed a stilemi di culture extraeuropee, alla provocatorietà di un Duchamp che fa di un orinatoio o di uno scolabottiglie un'opera d'arte, perchè l'arte è nel pensiero dell'autore e nel modo differente di osservare gli oggetti. Si può pensare ad un gesto più dissacrante e più irriverente di questo? Ecco che Dada fa discutere gli studenti e turba anche, perchè le opere dadaiste tutto sembrano evocare tranne che il 'bello': ma il senso sta proprio in questo, nell'allontanarsi da ciò che fino ad allora era stata figurazione, rappresentazione armoniosa e riconoscibile, per osare un gesto nuovo e radicale, provocatorio fino all'estremo, per creare qualcosa di innovativo che proiettava nel lontano 1917 verso un futuro altro, più forte di ogni guerra, di ogni scenario di crisi e di oppressione. Le Avanguardie dicevano 'no' al modo di pensare l'arte in vigore fino ad allora, dicevano 'no' a schemi già consolidati, non perchè fossero in assoluto da gettare alle ortiche ma perchè non coerenti con i loro pensieri e desideri. In questo modo nell'Europa della prima metà del Novecento si disegnavano non uno ma tanti modi nuovi di fare arte, tanti quanti sono gli 'ismi'.

Pablo Picasso, Les démoiselles d'Avignon, 1907, olio su tela, MOMA, New York.

Ai ragazzi che rimbrottano che tutti allora possiamo essere artisti dico sempre che no, non lo siamo, perchè non lo abbiamo saputo né pensare né fare. Dico loro che oggi dovremmo sforzarci di essere in grado di concepire pensieri e gesti davvero 'nostri', liberi e coraggiosi, per poterci anche solo accostare a quegli artisti, già a partire dalle parole che usiamo, dai gesti minimi che compiamo nei nostri giorni, nel modo in cui ci relazioniamo con gli eventi della società.



Oggi Dada non avrebbe alcun senso e in effetti il movimento si sciolse nell'arco di poco tempo: l'arte non vive di sola provocazione anche se talvolta è utile e necessaria. Quel che le Avanguardie ci ricordano, e prima di loro molte delle censure della storia dell'arte, anche quelle che ci fanno sorridere, è che la libertà di espressione è una necessità per ogni essere umano, al di là di quanto le opere dei singoli artisti possano sedurci, commuoverci o infastidirci. E che questa libertà va conquistata, esercitata e difesa. 

Gli artisti tutti ci ricordano che l'unico rimedio che abbiamo contro la censura è proprio la cultura, come gridavano l'altro ieri in piazza a Palermo cortei di studenti, giovani e meno giovani ('La cultura non si arrende. Le nostre scuole non sono caserme'), e che il primo luogo in cui tutto ciò deve accadere è proprio la scuola. 

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