Le pietre del passato, le domande del presente. Una prova d'esame


Tempo d'esami di stato, al via oggi con la prima prova scritta di italiano. In qualità di commissario interno e in qualità di persona che l'arte la studia (e più in generale come persona che si interroga), ho voluto cimentarmi anch'io come i miei ansiosi studenti. La traccia che ho trovato più interessante: il testo argomentativo che si chiedeva di elaborare a partire da un brano di Tomaso Montanari, tratto da Istruzioni per l'uso del futuro (Minimun fax, 2014). Il testo che ne è venuto fuori è sicuramente più libero rispetto a quanto avrebbe dovuto un candidato alla maturità, ma spero comunque di essere promossa. L'idea di cimentarsi con le tracce non è originale, come succede nel bel blog didatticarte.it nel 2018. Insomma, gli esami non finiscono mai e mettersi alla prova male non fa. 

"Si parla tanto di bellezza di questi tempi, ma raramente troveremo un termine così difficile da definire e sul quale metterci d’accordo. Da sempre scrittori, pensatori e scienziati (per non dire degli artisti) si interrogano su cosa sia il bello, con conseguenze che non riguardano solo quanto viene scritto sui libri ma la nostra stessa vita. Perchè avere una vaga idea di quale possa essere la mappa del territorio della bellezza porta forse a orientarci un po’ meglio nel mondo; ad avere maggiore chiarezza e slancio nel viaggio che ci porta ad attraversare il tempo e lo spazio.
Potrebbe darsi, infatti, che la bellezza, oltre ad essere un qualcosa di già dato e da inseguire con entusiasmo (come suggerisce la promessa contenuta nella celebre affermazione di Dostoevskij ‘la bellezza salverà il mondo’), sia anche un qualcosa da conquistare con fatica e tensione, consapevoli che si debba ‘riconoscerla’, per poterla incontrare e finanche ‘vedere’ (come lascia presagire Salvatore Settis quando afferma che ‘la bellezza non salverà un bel niente, se noi non salveremo la bellezza’)? Ovvero, la bellezza potrebbe essere un’interrogazione gentile, aggraziata ma tenace, che costantemente rivolgiamo a noi stessi, al mondo, ed al patrimonio storico e artistico che ci circonda? La bellezza potrebbe essere un’attitudine degli esseri umani e non solo appannaggio di scrittori ed artisti? 



Marin Paar, dalla serie Small world, 1990.

‘Patrimonio’: altra parola capitale, meno sfuggente rispetto a ‘bellezza’ ma carica anch’essa di idee e valori immensi. Viene dal latino, dalla fusione dei termini ‘pater’ e ‘munus’, per dire ciò che attiene al dovere del padre. Patrimonio è dunque qualcosa di antico e prezioso, qualcosa di potente che rimanda alle ricchezze ed ai denari e insieme alle tradizioni, a quello che sta dietro, al passato che si è sedimentato e che è diventato il nostro ‘bene’. La ricchezza non solo delle monete ma anche dell’arte, dei manufatti, delle architetture, degli oggetti che raccontano la storia di un paese, di una comunità e dunque di un’identità, ed anche delle idee e dei valori di una tradizione.
Non è un caso che il concetto di bene culturale e di patrimonio sia nel nostro paese e in generale nell’orizzonte europeo tutto moderno, legato cioè - per quanto riguarda l'Italia - alle vicende che lentamente portarono all’unità del 1861. Prima del Settecento nessuna idea di bene come espressione della ricchezza immateriale oltre che materiale di un popolo; dopo di allora, dopo il Patto di Tolentino e il recupero parziale dei beni legalmente trafugati da Napoleone verso il Louvre, ecco che le opere d’arte e il patrimonio storico-artistico diventano qualcosa da ‘difendere’ e da custodire, oltre che qualcosa di cui vantarsi. Qualcosa in cui identificarsi, come uno specchio.
La bellezza, potrebbe essere allora un’interrogazione frequente che rivolgiamo alle pietre del passato e ai gesti del nostro presente, per scoprire chi siamo? Proprio come si fa anche allo specchio. Una domanda che rivolgiamo alle opere d’arte e ai libri per dare un senso alla nostra vita, per capire qualcosa di più della nostra identità? Di fronte ad un quadro, una scultura, difronte ad un manufatto, cercare la bellezza vuol dire andare incontro a quella forma ed a quell’oggetto, ascoltando le idee, i sentimenti, i dubbi perfino, che rimanda; questo forse potrebbe sollecitare un’attitudine già di ricerca, e dunque di conoscenza attiva (oltre che di accettazione quieta), che porta con sé rispetto, forza, grazia. E che aiuta nell’immaginazione di ciò che potrebbe essere il ‘futuro’.

Ecco dunque che si ritrovano inanellati i concetti di bellezza e patrimonio artistico, che è un tutt’uno con il patrimonio storico, perché l’arte nasce sempre da una storia che a sua volta è un vero e proprio palinsesto, un intreccio, un abbraccio confuso e ineluttabile di cose ed azioni, strato su strato. Bellezza e patrimonio vanno a braccetto e contribuiscono ad orientare il nostro incedere nel tempo e nello spazio. Ci muoviamo nello spazio, infatti, questo ‘elemento’ che ‘congiunge e fa dialogare tempi ed esseri umani lontanissimi’ (Montanari). Basti osservare un paesaggio, e le presenze architettoniche o i segni che vi si trovano, per avere idea di questo passato che come un fiume giunge a noi e ci tocca da vicino, fino a far sì che noi si nuoti in queste acque seppure con gesti tutti di oggi. Ci muoviamo persino nel tempo, senza alcuna fantascienza o finzione, perché siamo ‘letteralmente seduti sui corpi dei nostri progenitori sepolti sotto i pavimenti’ (sempre Montanari), e se non è questa una macchina del tempo, cosa altro potrebbe essere?

Martin Paar, dalla serie Small world.

Le parole tempo e spazio, unite a quelle dolci quanto scivolose di bellezza e patrimonio, suggeriscono numerosi ricordi. Uno tra i tanti che potrebbero proporsi: il racconto di Cesare Brandi all’arrivo ad Atene, all’Acropoli, lì dove commenta la capacità di scelta del luogo da parte degli antichi greci. Che non è romantica visione del paesaggio come lo intendiamo noi (il concetto di paesaggio è anch’esso moderno), non è salvaguardia dell’ambiente come faticosamente si cerca di insegnare nella nostra epoca, ma è solo scelta accurata del luogo e dello spazio per lo svolgimento delle azioni degli uomini, e con tale scelta i greci dell’età arcaica e classica individuavano un luogo ‘opportuno’, che difendesse la cultura stessa e che mantenesse l’attaccamento alla terra ed alla propria origine. Nel bel racconto Brandi ci fa vedere con le parole come fosse un acquerello la cittadella che si erge alta e imponente, la città dell’uomo che si rivolge con i templi agli dei, e lascia sentire come dal passato giunga fino a noi moderni, noi viaggiatori oggi chiamati turisti, la bellezza di un insieme di pietre che dal suolo procedono verso l’alto, in modo non naturale (l’architettura è degli uomini, non è della natura) ma in modo armonioso (l’architettura è degli uomini ma tiene conto della natura). Il passo più bello, dal libro Viaggio nella Grecia antica dello storico dell’arte italiano, è lì dove afferma di avere compreso pienamente il senso del ritrovarsi di Ulisse e Penelope (Odissea, libro XXIII), solo alla visione delle colonne che si stagliano sull’Acropoli. Elementi architettonici che nascono dal sentimento del luogo, esattamente come il talamo che Ulisse ha costruito nella casa ad Itaca e che permette alla sua sposa di riconoscerlo dopo tanti anni, nasce da un fusto di albero di ulivo, levigato e lavorato, con amore e con intelligenza. Non si potrebbe pensare ad una fusione più bella e commovente di quanto è ‘cultura’ e insieme ‘natura’.

Martin Paar, dalla serie Small world.

E oggi? Da una parte tendiamo ad ignorare e a dimenticare se non a maltrattare le pietre del nostro passato, a farcene carico spesso unicamente nelle situazioni di emergenza (l'incendio di Notre Dame a Parigi, i terremoti del centro Italia, le librerie che chiudono una dietro l'altra nelle città italiane), oppure tendiamo a consumarle voracemente e superficialmente, senza guardarle davvero e senza chiedere nulla in fondo, in nome di un intrattenimento sterile e poco felice che non costruisce. Si invoca spesso la conoscenza di edifici e musei e bellezze artistiche come incentivo all'economia del turismo - importante, certo - ma ancora prima dovrebbe essere un obiettivo da raggiungere in nome di un altro valore cardine, la cultura, fine a sé stessa. Solo la cultura forma davvero le persone e i cittadini. 
Le pietre e tutto ciò che fa parte di un 'patrimonio artistico' conservano un caleidoscopio di parole, colori, suoni, ricordi e perfino di sogni, rimandano sempre a qualcosa che ancora deve trovare forma. Proviamo ad osservare in modo attivo e immaginativo le ‘pietre’ del passato, anche quando piccole e poco visibili, perché ci parleranno di noi, di altre domande ed altre idee e immaginazioni ancora da venire".

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