Il paesaggio è fuggito dal quadro: l'educazione civica inizia dalle ore di Storia dell'arte

Tra qualche tempo ricorderemo il 2019 come l'anno della generazione Greta, l'anno in cui migliaia di adolescenti sono scesi in piazza per ricordare l'importanza della salvaguardia dell'ambiente. Se ne parla in questi giorni e lo sguardo di noi adulti sui giovani si sta chissà trasformando, in nome di quella consapevolezza e determinazione che li rende svegli e in grado di pensare al futuro. Non solo generazione Iphone o generazione selfie ma anche generazione che sceglie di occuparsi di qualcosa di grande.

Il corteo dello sciopero del 27 settembre 2019, Firenze (la Repubblica).

Non so se l'arte può aiutarci concretamente nel controllo delle emissioni di gas o nel limitare l'aumento della temperatura terrestre, sono altre le aspirazioni di un artista! In ogni caso l'arte riguarda in varie modalità l'ambiente e il paesaggio e sempre, sempre, coinvolge l'uomo, dunque ci può dare indicazioni sul senso civico: l'apertura alla diversità, il senso del rispetto e della libertà, il rapporto con lo spazio, la necessità della bellezza e dell'esperienza estetica. Che poi l'ambiente sia un tutt'uno con il patrimonio culturale, soprattutto in un paese come il nostro, lo sappiamo, ma spesso lo 'sappiamo' in modo vago o un po' predatorio, come fossimo turisti prima che cittadini. Lo ricorda Tomaso Montanari nel libro Istruzioni per l'uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà (Minimum fax, 2015): "L'arte è una cosa sola con l'ambiente come la carne e la pelle di un corpo, che è il territorio del nostro paese. Non esiste in Italia un "ambiente" senza arte: e un'arte senza il suo ambiente non sarebbe comprensibile, anzi non sarebbe nemmeno concepibile".
In un territorio come quello siciliano, ad esempio, le aree interessate dall'antica città di Selinunte, dalla Valle dei Templi di Agrigento, o ancora dal Cretto di Alberto Burri a Gibellina - tanto per ricordare qualche sito - sono territorio e paesaggio, sono un bene storico, culturale e ambientale esattamente come lo sono le colline, le montagne e le coste su cui hanno gravato incuria, abusivismo edilizio, inefficienza e/o indifferenza. L'azione nasce dalla conoscenza e dal pensiero e siamo ancora lontani nonostante i Piani, i programmi e le leggi dall'avere assicurato un futuro roseo non solo all'ecosistema (che si trova anzi in una situazione disastrosa) ma anche al patrimonio artistico e architettonico che con l'ambiente convive.

Alberto Burri, Grande Cretto, 1984-85, Gibellina (TP).

L'educazione al rispetto può solo nascere dall'informazione e dalla conoscenza, dalla consapevolezza che si raggiunge esercitando uno sguardo non superficiale, studiando, coltivando intelletto e sensibilità. In fondo, cominciamo a occuparci di cittadinanza occupandoci del registro in cui l'ambiente e il territorio incontrano la cultura, ovvero l'arte e l'architettura. Con la legge 92 del 20 agosto scorso l'educazione civica è stata introdotta nel curricolo scolastico in modo trasversale; il MIUR ha poi fatto slittare al 2020 l'applicazione della novità, ma mi chiedo: perchè nella scuola italiana l'insegnamento della storia dell'arte è relegato all'angolo? Non è forse un ambito di studio in cui l'educazione civica fa la sua comparsa in modo naturale? Lo studio della storia dell'arte non andrebbe incentivato anche per questo motivo? Ricominciamo da lì, Ministro Fioramonti, ridando dignità a questa disciplina.

La natura, 'madre natura', non è qualcosa di esterno a noi, che esiste fuori da qualche parte, come sottolinea Stefano Mancuso, ne la Repubblica, inserto Robinson del 28 settembre scorso (nonché autore de La nazione della piante, Laterza 2019): "Ancora oggi, nonostante San Francesco e Darwin, l'uso della parola natura non trasmette quasi mai l'idea di comunanza con gli altri esseri viventi. Nei nostri cuori non ci sentiamo parte del processo naturale, ma al di sopra e al di fuori di esso". Sono tante le occasioni che la storia e il presente offrono per ragionare sul rapporto con territorio, ambiente e paesaggio, per cercare di ricucire questa distanza, senza fare del tema qualcosa di decorativo, di romanticamente suggestivo. La natura non è soltanto un bel paesaggio, una veduta o un orizzonte circoscritto entro la cornice che delimita un olio un acquerello o una fotografia, né è solo lo spazio che stimola lo svago e la spensieratezza dentro parchi e giardini. E' qualcosa di vivo: le immagini dell'arte possono aiutarci a percepire questa energia? possono aiutarci a rispettarla? La domanda è presuntuosa ma è evidente che la percezione del 'naturale' e la conseguente riflessione si è trasformata nel corso dei secoli. Le arti visive ci mostrano come è cambiato il sentimento della natura nel corso del tempo e ci accompagnano nella scoperta dell'immaginario e delle azioni di oggi e ci aiutano nell'elaborazione di un nostro pensiero.
Se agli inizi del '900 le immagini silenziose e come incantate di Eugène Atget mostrano alberi dal ricercato estetismo, al tempo stesso animati da una loro vitalità e di una perfezione formale modernissima, nel corso del secolo si sono sviluppate poetiche con cui si è andati oltre la contemplazione del manufatto: penso al valore concettuale e concreto dell'operazione 7000 querce di Joseph Beuys, per Documenta di Kassel (1982). Nel corso di cinque anni migliaia di alberi sono stati installati nella cittadina, da acquirenti che hanno così partecipato a una sorta di rito collettivo, la creazione di un bosco. E' arte, non è arte? E' una forma di scultura sociale, è il modo in cui Beuys, artista assoluto, ha voluto dare una forte carica etica al ruolo di artista.

J. Beuys e le stele: per ogni stele venduta l'acquirente riceveva la quercia da piantare.

La natura è presente nelle esperienze artistiche di tutti i tempi. Come scrive Goethe 'la natura non conosce pause', è a vario titolo al centro dell'interesse di innunerevoli autori, passando dai paesaggi di Friedrich con soggetti ripresi di spalle, ai giardini Monet, agli scorci assolati di Corot, fino alle esperienze dell'arte concettuale, arte povera o land art etc. etc. Così come la tela nella contemporaneità è scesa dal cavalletto, potremmo dire che il paesaggio è fuggito dal quadro: nelle invenzioni contemporanee la natura è qualcosa che attraversiamo, in forma di istallazione o di inserto pensato per uno specifico luogo. E' spesso qualcosa di complesso, che racconta il travagliato rapporto che noi uomini continuiamo a intrattenere con essa, a dispetto di ogni slogan e proposito biosostenibile. Talvolta l'azione creativa tradisce una sorta di prevaricazione, anche quando vuole omaggiare ed esaltare uno spirito vitale nell'ambiente: quanta energia impiegata a furia di voli in aereo per progettare grandi azioni di Land art, o quanto nylon nel caso degli impacchettamenti di Christo?

Robert SmithsonSpiral Jetty, basalto, terra, cristalli di sale, 1970, Utah, Great Salt Lak.

Christo, Pont Neuf, teloni di nylon, 1985, Parigi.

Le opere d'arte da sole non possono cambiare la storia, come nemmeno le foto, ma possono informare sulla complessità del rapporto di cui sopra e dare qualche idea. La forza delle fotografie si misura con la forza della collettività che se ne fa carico, ha scritto Helena Janeczek a proposito del mestiere di fotoreporter (suo il libro La ragazza con la Leica, biografia della fotografa Gera Taro, premio strega 2018). E talvolta questa forza ci scuote. E' successo con la serie di Gianni Berengo Gardin dedicata a Venezia e al problema delle navi da crociera che pascolano quasi in piazza San Marco. Può una foto cambiare qualcosa? No, ma può far ragionare, far parlare, far arrabbiare e portare alla censura. Invitato nel 2015 dalla Fondazione Musei Civici della città ad esporre il lavoro sul tema di Venezia e delle navi, Berengo Gardin si è visto bloccare il progetto dal sindaco Brugnaro. L'arte può essere ancora scandalosa e ricordare qualcosa di spiacevole. Le immagini sono nitide e potenti, rendono incredibile quel che accade nella realtà: la trasformazione non solo ambientale ed ecologica ma anche visiva che una città subisce in funzione di un turismo non sostenibile (approfondimenti qui).

 Gianni Berengo Gardin, Venezia, 2013.

La vivibilità delle città va difesa ed è infatti argomento di studio e di dibattitto per architetti e urbanisti, sociologi e antropologi. A Milano un progetto originale e ad alta densità 'green' ha portato all'incontro tra architettura abitativa e verde: è il caso del Bosco verticale, le due torri del Centro direzionale, ai margini del quartiere Isola. Il progetto è stato realizzato nel 2014 dall'équipe dello studio di architettura di Stefano Boeri (Boeri, Barreca, La Varra), con l'idea di realizzare dei veri e propri palazzi arborei, dei palazzi con giardini pensili distribuiti sulle intere superfici dei prospetti. L'idea è originale e risponde a diverse esigenze: costruire in verticale riducendo l'espansione urbana, incrementare il verde, favorire la biodiversità animale e vegetale della città. Migliaia le specie arboree ma anche volatili che fanno capo ai due boschi verticali e innegabili i benefici: riduzione delle emissioni di CO2, protezione dalle radiazioni solari, creazione di un microclima adeguato, controllo delle spinte dei venti, riduzione dell'inquinamento acustico e via discorrendo (per approfondimenti si legga qui). Boeri racconta di avere avuto l'idea osservando il paesaggio urbano di Dubai, una «città minerale, fatta di decine di nuove torri e grattacieli, tutti rivestiti di vetro o di ceramica o di metallo, tutti riflettenti la luce solare e dunque generatori di calore nell'aria e soprattutto sul suolo abitato dai pedoni».


Bosco verticale di Stefano Boeri, Milano.

Se i grattacieli verdi di Milano costituiscono un esempio di costruzione ex novo, spesso necessarie sono invece le operazioni di riqualificazione su preesistenze. Impossibile ricordare i casi di riadattamento di edifici o aree dismesse sparsi nel mondo, ma un esempio lo voglio ricordare, anche perchè passeggiarci sopra è stata un'esperienza magnifica: la High Line di New York, linea ferroviaria del West side di Manhattan, in disuso del 1980 e poi trasformata in un parco lineare lungo 2,5 chilometri. Il percorso - aperto al pubblico nel 2014 - si snoda dalla 34 alla 10 strada circa, si insinua sulla sopraelevata attraverso grattacieli, palazzi, aree aperte e piazze, immersa nel verde. Il design estremamente curato, la bellezza delle piante e dei fiori, la possibilità di osservazione della city da altri punti di vista, gli scorci che si aprono, rendono la passeggiata un esperimento riuscito e sostenibile. Da notare che l'esistenza della promenade deriva dall'associazione sorta per evitare l'abbattimento della vecchia ferrovia, la Friends of the High Line, che in collaborazione con il Dipartimento Parchi della città gestisce le attività e il funzionamento (consultate il sito, molto ben fatto. Soprattutto, se passate da New York andateci). 


La High Line, foto di Iwan Baam.




Fotografie, tele, installazioni, architetture, l'arte ci ricorda che la sperimentazione va coltivata, perchè è l'unico modo per evolvere e trasformarci. Magari impareremo qualcosa, per lasciare del buono ai ragazzi che ci lanciano domande dalle piazze, fosse solo una maggiore fiducia e la voglia di rimboccarsi le maniche.


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