ll tempo che verrà. Domande sul futuro in forma di fotografia
Tempo di scuola, tempo di nuovi inizi. Tra i banchi di aule a me sconosciute - da quest'anno lavoro in una diversa città, più vicino alla mia Palermo - c'è una parola che mi ritorna in mente, come una brezza leggera che mi avvolge e che mi scuote: futuro. Gli inizi sono accompagnati da riti, da gesti inaugurali, da parole che vorrebbero rendere più facile la strada e allontanare la paura.
In un momento in cui per me si disegnano diversi inizi (e relativi addii, a quello o a chi c'era fino a ieri) questa parola grande che è 'futuro' si intreccia con tante idee e sentimenti, dando forma a domande che mi sembrano aleggiare dappertutto, dentro e fuori la scuola, sui sorrisi dei miei giovani alunni come sui volti di chi giovane non è: come alimentare la speranza? che aspettative ho? come affrontare l'ignoto? cosa mi riserva il domani?
Domande difficili a cui forse non segue alcuna risposta ma è dei buoni inizi cercare il coraggio, e prendere di petto l'avvio. Anche con domande impossibili.
Innumerevoli i libri pubblicati più o meno recentemente, nell'ambito di ricerche socio-antropologiche e culturali, che portano futuro nel titolo, per dare conto di un umore che è di tutti i tempi ma che il nostro sta elaborando con particolare tensione: Il futuro contro di Andrea Graziosi (Bompiani 2019), Homo deus. Breve storia del futuro di Y. Noah Harari (Bompiani, prima edizione italiana 2017), Futuro interiore di Michela Murgia (Einaudi 2016), Istruzioni per l'uso del futuro di Tomaso Montanari (Minimum fax 2015), per una profusione di idee (e interrogazioni) su quel che stiamo diventando. Ma il tempo che deve ancora arrivare, il tempo che siamo già adesso e che deve prendere una qualche forma, che volto ha? Non solo quello delle copertine dei libri da scrivere e da studiare ma soprattutto quello di visi giovani, che il futuro lo immaginano in modo spavaldo.
Ecco che il tempo che verrà ha il sapore dell'allegria e della speranza semplice, sentimenti che abitano il volto sorridente del ragazzino di rue Mouffetard. Nella celebre fotografia del maestro dell'istante decisivo, il francese Henri Cartier-Bresson (1908-2004), due occhi vispi dardeggiano nel pieno della città operosa e caotica. Lui se ne va a zonzo, starà lavorando o forse sta svolgendo delle commissioni per conto di qualche adulto. Eppure si fa grande lui stesso, con il passo deciso e la testa alta. Sicuro senza spocchia, allegro senza teatralità, serio nel gioco, come solo i bambini riescono a fare. E gli sguardi delle bimbe dietro di lui hanno il sapore degli incontri che la vita gli riserva, dello stupore che lo accompagnerà, della bellezza della strada che sceglierà di camminare. Non conosciamo la strada da percorrere (il ragazzo si trova in primo piano, viene avanti verso di noi e il fotografo sceglie di lasciare dietro o di lato tutto il resto), non sappiamo esattamente quali imprevisti ci riserva (la sua stessa postura, lo sguardo verso la sua destra la gamba verso sinistra, evoca un movimento a zig zag, ci dice che la via non è lineare), ma da parte nostra proviamo a star dritti (il corpo è in perfetto asse con lo spigolo retrostante).
Ignoto fa rima con incertezza, con mistero, con sgomento. Ignoto è qualcosa che può sorprendere e spaventare. Possiamo scegliere di far resistenza ma possiamo anche scegliere di andare incontro a quel che ha da venire, con serietà o quanto meno con concentrazione. Può essere che il futuro inizi già oggi? in quel che facciamo e siamo oggi? Sembra dirci tutto questo, con un'intensità difficile da sostenere, con una bellezza disarmante, la ragazzina della fotografia di Letizia Battaglia. Si tratta di una delle immagini più famose di Battaglia (nata e attiva a Palermo, scelta nel 2017 dal New York Times tre le donne più 'straordinarie' del mondo), che lei stessa dichiara di aver tenuto nel suo personale archivio in grande considerazione e affezione, tanto da aver lanciato dopo del tempo la ricerca della bambina (all'epoca dello scatto aveva solo 10 anni. Verrà rintracciata nel 2018, dopo 38 anni).
Tra i vicoli della Cala, in una Palermo difficile e nota per le morti di mafia, il volto di una ragazzina che prende una pausa dal suo gioco al pallone evoca il futuro in tutta la sua potenzialità, con apertura e innocenza. Il volto serio, corrucciato, ci guarda dritto negli occhi, senza paura e senza fronzoli; e il braccio sinistro alzato, quasi un gesto di resa, ci ricorda che il coraggio ha bisogno anche dell'umiltà.
Il tempo davanti a noi è lo spazio dell'immaginazione e ci vuole forza, determinazione e fiducia, per potere solo immaginarlo questo futuro e far diventare i sogni dei progetti. Dalle pagine di Repubblica, il 17 settembre scorso, Riccardo Luna scriveva rivolgendosi ad un ideale professore o professoressa: "Vorrei che insegnaste ai nostri figli qualcosa che noi stessi abbiamo perduto da un pezzo: l'ottimismo. Non quello facile, superficiale, a buon mercato che tanti danni ha fatto. Mi riferisco a uno slancio vitale profondo che viene dalla storia. A quella forza inarrestabile che come umanità ci ha portato fin qua e che può convincere gli studenti che, ancora una volta, nonostante tutto, domani sarà migliore se davvero lo vorranno".
Come si fa ad insegnare l'ottimismo? Non si può, forse l'ottimismo, cauto o speranzoso, timido o spavaldo, lo si agisce, lo si mette in pratica, quando lo si ha a disposizione. E se così non è non sarà grave, ma viene un momento in cui lo si deve cercare - soprattutto se si ha a che fare con dei giovani, dentro e fuori le scuole -, facendo chissà esercizio di nuove prospettive, di nuovi ruoli, di nuove azioni. Giocando magari un po'.
Come nella foto di Ferdinando Scianna, tratta dal libro Quelli di Bagheria (Scianna è nato a Bagheria, Palermo, nel 1943. Dal 1982 è il primo italiano a far parte dell'Agenzia Magnum). Era il tempo dei giochi di strada, scrive lo stesso fotografo, il tempo dei giochi fatti di poco e di tanta immaginazione. "Il sistema dei giochi costituiva la società dei bambini: con i giochi sperimentavamo la disciplina dell'apprendimento, l'orgoglio delle abilità conquistate, la dura competizione, la difficile solidarietà nei giochi di squadra, la perseveranza, la sconfitta amara" (Quelli di Bagheria, Peliti Associati 2002, p. 165).
Il ragazzo di coraggio ne ha e si lancia, e si capovolge, e sorride, un po'. C'è la forza della presa e la leggerezza del salto in questa immagine, c'è il gioco e la serietà. Un salto verso quello che non sappiamo ma che possiamo scegliere di prendere nelle nostre mani con fiducia, inventiva o rassegnazione. A ciascuno il suo salto nel domani.
In un momento in cui per me si disegnano diversi inizi (e relativi addii, a quello o a chi c'era fino a ieri) questa parola grande che è 'futuro' si intreccia con tante idee e sentimenti, dando forma a domande che mi sembrano aleggiare dappertutto, dentro e fuori la scuola, sui sorrisi dei miei giovani alunni come sui volti di chi giovane non è: come alimentare la speranza? che aspettative ho? come affrontare l'ignoto? cosa mi riserva il domani?
Domande difficili a cui forse non segue alcuna risposta ma è dei buoni inizi cercare il coraggio, e prendere di petto l'avvio. Anche con domande impossibili.
Innumerevoli i libri pubblicati più o meno recentemente, nell'ambito di ricerche socio-antropologiche e culturali, che portano futuro nel titolo, per dare conto di un umore che è di tutti i tempi ma che il nostro sta elaborando con particolare tensione: Il futuro contro di Andrea Graziosi (Bompiani 2019), Homo deus. Breve storia del futuro di Y. Noah Harari (Bompiani, prima edizione italiana 2017), Futuro interiore di Michela Murgia (Einaudi 2016), Istruzioni per l'uso del futuro di Tomaso Montanari (Minimum fax 2015), per una profusione di idee (e interrogazioni) su quel che stiamo diventando. Ma il tempo che deve ancora arrivare, il tempo che siamo già adesso e che deve prendere una qualche forma, che volto ha? Non solo quello delle copertine dei libri da scrivere e da studiare ma soprattutto quello di visi giovani, che il futuro lo immaginano in modo spavaldo.
Ecco che il tempo che verrà ha il sapore dell'allegria e della speranza semplice, sentimenti che abitano il volto sorridente del ragazzino di rue Mouffetard. Nella celebre fotografia del maestro dell'istante decisivo, il francese Henri Cartier-Bresson (1908-2004), due occhi vispi dardeggiano nel pieno della città operosa e caotica. Lui se ne va a zonzo, starà lavorando o forse sta svolgendo delle commissioni per conto di qualche adulto. Eppure si fa grande lui stesso, con il passo deciso e la testa alta. Sicuro senza spocchia, allegro senza teatralità, serio nel gioco, come solo i bambini riescono a fare. E gli sguardi delle bimbe dietro di lui hanno il sapore degli incontri che la vita gli riserva, dello stupore che lo accompagnerà, della bellezza della strada che sceglierà di camminare. Non conosciamo la strada da percorrere (il ragazzo si trova in primo piano, viene avanti verso di noi e il fotografo sceglie di lasciare dietro o di lato tutto il resto), non sappiamo esattamente quali imprevisti ci riserva (la sua stessa postura, lo sguardo verso la sua destra la gamba verso sinistra, evoca un movimento a zig zag, ci dice che la via non è lineare), ma da parte nostra proviamo a star dritti (il corpo è in perfetto asse con lo spigolo retrostante).
H. Cartier-Bresson, Rue Mouffetard, 1954. |
Ignoto fa rima con incertezza, con mistero, con sgomento. Ignoto è qualcosa che può sorprendere e spaventare. Possiamo scegliere di far resistenza ma possiamo anche scegliere di andare incontro a quel che ha da venire, con serietà o quanto meno con concentrazione. Può essere che il futuro inizi già oggi? in quel che facciamo e siamo oggi? Sembra dirci tutto questo, con un'intensità difficile da sostenere, con una bellezza disarmante, la ragazzina della fotografia di Letizia Battaglia. Si tratta di una delle immagini più famose di Battaglia (nata e attiva a Palermo, scelta nel 2017 dal New York Times tre le donne più 'straordinarie' del mondo), che lei stessa dichiara di aver tenuto nel suo personale archivio in grande considerazione e affezione, tanto da aver lanciato dopo del tempo la ricerca della bambina (all'epoca dello scatto aveva solo 10 anni. Verrà rintracciata nel 2018, dopo 38 anni).
Tra i vicoli della Cala, in una Palermo difficile e nota per le morti di mafia, il volto di una ragazzina che prende una pausa dal suo gioco al pallone evoca il futuro in tutta la sua potenzialità, con apertura e innocenza. Il volto serio, corrucciato, ci guarda dritto negli occhi, senza paura e senza fronzoli; e il braccio sinistro alzato, quasi un gesto di resa, ci ricorda che il coraggio ha bisogno anche dell'umiltà.
L. Battaglia, La bambina con il pallone, 1980. |
Il tempo davanti a noi è lo spazio dell'immaginazione e ci vuole forza, determinazione e fiducia, per potere solo immaginarlo questo futuro e far diventare i sogni dei progetti. Dalle pagine di Repubblica, il 17 settembre scorso, Riccardo Luna scriveva rivolgendosi ad un ideale professore o professoressa: "Vorrei che insegnaste ai nostri figli qualcosa che noi stessi abbiamo perduto da un pezzo: l'ottimismo. Non quello facile, superficiale, a buon mercato che tanti danni ha fatto. Mi riferisco a uno slancio vitale profondo che viene dalla storia. A quella forza inarrestabile che come umanità ci ha portato fin qua e che può convincere gli studenti che, ancora una volta, nonostante tutto, domani sarà migliore se davvero lo vorranno".
Come si fa ad insegnare l'ottimismo? Non si può, forse l'ottimismo, cauto o speranzoso, timido o spavaldo, lo si agisce, lo si mette in pratica, quando lo si ha a disposizione. E se così non è non sarà grave, ma viene un momento in cui lo si deve cercare - soprattutto se si ha a che fare con dei giovani, dentro e fuori le scuole -, facendo chissà esercizio di nuove prospettive, di nuovi ruoli, di nuove azioni. Giocando magari un po'.
Come nella foto di Ferdinando Scianna, tratta dal libro Quelli di Bagheria (Scianna è nato a Bagheria, Palermo, nel 1943. Dal 1982 è il primo italiano a far parte dell'Agenzia Magnum). Era il tempo dei giochi di strada, scrive lo stesso fotografo, il tempo dei giochi fatti di poco e di tanta immaginazione. "Il sistema dei giochi costituiva la società dei bambini: con i giochi sperimentavamo la disciplina dell'apprendimento, l'orgoglio delle abilità conquistate, la dura competizione, la difficile solidarietà nei giochi di squadra, la perseveranza, la sconfitta amara" (Quelli di Bagheria, Peliti Associati 2002, p. 165).
Il ragazzo di coraggio ne ha e si lancia, e si capovolge, e sorride, un po'. C'è la forza della presa e la leggerezza del salto in questa immagine, c'è il gioco e la serietà. Un salto verso quello che non sappiamo ma che possiamo scegliere di prendere nelle nostre mani con fiducia, inventiva o rassegnazione. A ciascuno il suo salto nel domani.
F. Scianna, Bagheria, s.d. |
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