"Ciao ragazzi, come state?". E' mattina, ore 9.00, siamo tutti virtualmente collegati. Tavolo della cucina, letto della cameretta o poltrona trasformati in banco scolastico. Mi rivolgo alle mie alunne e ai miei alunni di quinta con la formula di rito, che adesso si accompagna ad altre esclamazioni: "Ragazzi, com'è bello vedervi!". Sì, anche se ci 'vediamo' su un monitor. Già, la scuola al tempo dell'epidemia, ovvero la scuola al tempo della distanza.
Scuola e distanza sono termini che non vanno d'accordo, fanno un ossimoro. Esiste la distanza fisica dettata dall'emergenza, quella che ha chiuso le aule e che ci ha fatti rintanare nelle case; una distanza colmata dalla tecnologia, più che mai salvifica anche quando zoppicante o difettosa. Scuola e distanza non vanno d'accordo per il semplice fatto che
la scuola è nella vicinanza: è l'essere insieme, nel confronto e nella dialettica, finanche nello scontro o nel disastro.
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V. Van Gogh, La camera da letto ad Arles, 1888, olio su tela, Art Institut of Chicago, Chicago. |
Si fa scuola come si può e si trova persino un ritmo, una routine rassicurante tra videolezioni, compiti e messaggi vocali. C'è chi decide di non farsi proprio vedere, al monitor ("Va bene R., vorrà dire che ti immagineremo"), c'è chi sta a gambe incrociate su un pouf o quasi disteso su un letto (no, non me la sento di riprenderla!), chi sorseggia una tazza di latte, chi sbadiglia con la sua vestaglia a pois, e sono sicura che ci siano casi ben più esilaranti e strampalati in giro. Si trova il modo di resistere nel segno dell'andare avanti a tutti i costi, prendendosi la briga però di ammetterlo, che sì, è una situazione eccezionale e straniante,
sì che fa paura. E talvolta - per alcuni almeno - questa paura si trasforma in angoscia bella e buona.
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La stanza dell'artista, disegno su lettera. |
Vuole il caso che mi ritrovi in questi giorni a maneggiare argomenti particolarmente intensi, argomenti importanti ma adesso se possibile ancora più interessanti, come se potessimo studiarli con occhi nuovi:
un Van Gogh, un Munch ed un Klimt, dal lontano tempo da cui ci guardano rimandano riflessi di quel che siamo oggi: ci parlano del sentirsi soli e del desiderio dell'altro, ci parlano della paura e del controverso rapporto tra gli individui. Studiarli è un'occasione per dare un nome ai sentimenti che proviamo, per dare spazio alle incertezze. Ho chiesto dunque ai miei alunni cosa secondo loro, Van Gogh ad esempio, abbia da dire ad un ragazzo di oggi, anche con riferimento al COVID-19. Le loro reazioni sono state per me significative: intanto, ho percepito una riflessione personale più attenta e disinvolta del consueto. Non importa che il disagio tra un artista di fine '800 e il disagio di un intero mondo nel 2020 sia provocato da cause differenti, quel che hanno voluto sottolineare dell'uomo Vincent, i ragazzi, è soprattutto il disagio rispetto agli altri in quanto tali e rispetto alle relazioni. Esattamente come il disagio causato da una clausura necessaria ma non scelta, come la condizione di malessere che proviene dall'aspirare al contatto con gli altri senza poterlo assecondare. O come quello di un adolescente che si confronta con insuccessi, aspirazioni e primi amori. Ho intuito il bisogno di osservare gli oggetti di studio attraverso il filtro delle loro esperienze, per farli propri e assimilarli in modo più spontaneo. Ecco allora che
La stanza dell'artista si trasforma per A. in una metafora della nostra condizione, del caos interiore camuffato dall'ordine delle cose: "E' difficile stare da soli, perché non tutti possono far fronte a quelli che sono i problemi che nascono dentro di noi. Stiamo vivendo questo periodo dove riflettere su noi stessi, su quella che è la nostra vita, su quella che è la nostra famiglia, su quelli che sono i nostri rapporti interpersonali ma anche intrapersonali, è inevitabile e non è facile... non è facile perchè prima di adesso,
se la stanza della nostra vita, della nostra anima, sembrava in ordine, adesso ci si potrebbe rendere conto che, in realtà, niente è al suo posto...".
Ecco che Vincent ci ricorda che i fallimenti si affrontano, che si può resistere, ci insegna a dare il giusto "valore alle cose che contano e a quelle che non contano, perché per me lui non era pazzo, era un genio", dice C. a proposito della possibilità di vivere la vita senza curarsi del giudizio altrui, come pensiamo che debba essere vissuta.
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V. Van Gogh, Vaso con iris, 1890, olio su tela, Metropolitan Museum of Arts, New York. |
Rispondere alla paura con un po' di coraggio: ne saremo capaci? riusciremo a mettere in pratica la famosa resilienza? Non è un dipinto o un capolavoro che ci trasforma, o forse sì, ci trasforma il decidere di fermarci a pensare, anche davanti a un olio, vivendo e la paura e il coraggio (se lo troviamo).
Ci vuole coraggio ad essere sé stessi, dice in qualche modo Van Gogh ai miei ragazzi, ci vuole coraggio a vivere la distanza di oggi senza lasciarsi contagiare. Quanti virus circolano nell'aria? "Questo drastico allontanamento sarà distruttivo in quanto influirà anche sulla fraternità, creando sfiducia e conflitti tra i cittadini dello stesso stato, per adesso è davvero una misura di "sicurezza" ma dopo che il virus passerà,
si dovrà combattere la perdita dei rapporti umani", argomenta E., ricordando a tutti noi che è in gioco la nostra umanità e che il timore degli altri è sempre dietro l'angolo. Come forse nell'
Urlo di Munch: "nonostante sia un'opera del 1893 rappresenta lo stato d'animo di ogni individuo del 2020".
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E. Munch, L'urlo, 1910, olio su tela, Munchmuseet, Oslo. |
Leggo le argomentazioni e scopro che abbiamo tutti da imparare, loro dal tanto tempo improvvisamente a disposizione, dalla loro stessa angoscia ("il tempo non passa mai, mi sembra di impazzire", scrive N.) e io da loro. Per quanto la paura sia un'emozione primaria e necessaria che ci ha accompagnato nell'evoluzione, A. mi ricorda che è possibile reagire con razionalità, e cita
Osho Rajneesh, "maestro spirituale indiano, che afferma "la paura
crea il nemico, il nemico crea la difesa e la difesa crea l'attacco.
Diventi violento, stai sempre in guardia, stai contro tutti. Questo
va compreso, se hai paura sei contro tutti". Imparo, più di quanto non accada normalmente, che è necessario chiedere a questi ragazzi come stanno, cosa temono e cosa desiderano, come immaginano il loro futuro; imparo che è necessario chiedere cosa pensano se vogliamo aiutarli nel pensare in modo autonomo e coraggioso. Anche se alcuni di loro mi sembrano maturi, ancora prima e ben oltre qualunque esame di maturità.
Già, come state? "Fa freddo, prof", dice T. dentro il monitor, tutto avvoltolato nella sua coperta gialla, come il giallo energico di Vincent. Ridiamo insieme di questa dimensione domestica e più informale, sorridiamo della condivisione insolita degli spazi, mentre mamme, familiari o animali domestici fanno capolino qui e là. Consapevoli della fortuna di avere un dispositivo e una connessione, e non sono tutti tra loro a disporne. Chissà cosa pensano, le presenze che intuisco accanto ai ragazzi, di queste lezioni e delle voci dei proff. Io, da parte mia, penso che Vincent ed Edvard non sono mai stati così vicini.
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