Una mappa per reinventarsi (o per perdersi). Gli artisti e la rappresentazione del mondo

Nel libro L'arte della guerra è scritto che per vincere il nemico devi conoscere il suo territorio. Con quella scrittura lapidaria propria di un testo del V secolo a.C. Sun Zu ci suggerisce che per raggiungere l'obiettivo devi sapere dove stai andando. In fondo, se è vero che il conflitto può essere anche letto come metafora della trasformazione di ogni esistenza, è come se ci si invitasse a disegnare una mappa del luogo che vogliamo raggiungere, fisico o immateriale che sia. O della persona che vogliamo diventare.
In questo tempo in cui tutto è sospeso e nuovo mi succede di pensare alle mappe. Sono barricata in casa come tutti, conosco ogni anfratto della mia abitazione, conosco la mia scrivania (il luogo dove passo più tempo), eppure vorrei tanto una mappa: perchè sento che potrebbe cambiare qualcosa o forse sta già cambiando, nel modo di accostarmi a tanti aspetti del vivere: il lavoro, le relazioni, la ricerca della conoscenza, il tempo.

Johann G. Immanuel Breitkopf ( Das Reich der Liebe), dettaglio, Berlino 1777.

A cosa serve una mappa? Ad orientarsi in un luogo, a visualizzarlo e conoscerlo, a sapere come andare da A a B. Delle mappe mi ha sempre affascinato non solo il loro potere strumentale bensì il loro potere immaginifico. Le mappe sono in qualche modo predatorie, perchè aspirano superbe a farti 'vedere' qualcosa, peraltro dall'alto, con quell'aura di potenza inevitabile che deriva dalla conoscenza, ma pure ti permettono di orientarti nel processo, nell'andare. Stasi e movimento si fondono e possono dare luogo a qualcosa di verosimile come a qualcosa di immaginario: le mappe dimenticano il loro aspetto autoritario e si trasformano in opere d'arte, luoghi incantevoli in cui perdersi. Le mappe non raccontano soltanto della posizione di oggetti e dei tragitti possibili, le mappe raccontano emozioni, a saper vedere, provocano suggestioni, idee e sogni. O nascono da idee e sogni. Come le tante tantissime mappe letterarie di luoghi che non esistono e che vengono prima dei racconti sui luoghi che rappresentano, come la mappa dell'Isola del tesoro di  Robert L. Stevenson, come la mappa della terra di mezzo di Tolkien, come le mappe delle case dei personaggi di Georges Simenon (il belga, come il nostro Umberto Eco, doveva conoscere tutto dei suoi personaggi, conoscere lo spazio nel quale si muovevano), la Rimini di Federico Fellini: quella suggerita nell'invenzione dei suoi film molto più vera - a detta dello stesso regista - di quella in cui era nato e in cui aveva vissuto la giovinezza. Il falso più vero del vero... non è l'arte? 
S. Steinberg, The Labirynth, 1960.

E infatti più che alle mappe vere e proprie - le carte geografiche -, oggetti interessanti e bellissimi (le prime carte della storia che si stendono in lungo, le carte geografiche del Rinascimento, le carte in cui le informazioni si esplorano con la creatività dei colori e dell'intelligenza) penso alle mappe d'artista. Antesignane di tale orientamento potrebbero considerarsi le mappe delle emozioni del Settecento, meravigliose creazioni che cartografano il sentimento. Ad esempio, la mappa di Johann Gottlob Immanuel Breitkopf, chiamata Impero dell'amore (Das Reich der Liebe, 1777, ad apertura del post): traccia del percorso che dalla gioventù porta verso l'età adulta. Probabilmente sono più congeniali al tipo di uso che devo farne in questo (mio) momento storico: una mappa per reinventarmi (e per sognare di andare da qualche altra parte oltre che alla mia scrivania).


R.Tiravanija, Untitled (The map of the land of feeling I, II), 2008-2011.

Penseremmo alle mappe come dispositivi chiari e precisi e invece possono raccontare l'emozione incommensurabile di tutta una vita. Come la serie di opere di Rirkrit Tiravanija, The map of the land of feeling I, II, III, realizzate tra il 2008 e 2011. Non conoscevo questo artista argentino (di cui il critico Francesco Bonami dice che è come una boccata d'aria fresca nel mondo dell'arte) e mi è subito piaciuto il connubio tra mappa e territorio delle emozioni. Le carte hanno uno sviluppo orizzontale e si snodano in un intreccio di linee che prendono forma di linee spezzate che attraversano brandelli di carte urbane, traccia dei viaggi e della vita in diversi luoghi del mondo, e ora forma di labirinto (mappa impossibile per eccellenza). Mi hanno ricordato quanto scrive Italo Calvino a proposito del romanzo, ovvero che la letteratura ci accompagna nel passaggio da un labirinto all'altro, senza avere possibilità o pretesa di portarci verso un'uscita risolutoria dal caos (La sfida al labirinto, 1962).

J. Downey, The Map of America, 1975.

E un labirinto o quanto meno una spirale, richiama la Mappa dell'America di Downey, che rappresenta un territorio attraverso una forma dinamica. Dalla sua America del Sud emana un'energia strepitosa, si muove e si allarga, come se proprio in virtù della mappa quella parte di mondo potesse pulsare di vita. I segni lineari si percepiscono appena, non contengono ma seguono il flusso del colore e delle curve.




Alighiero Boetti, Mappe del mondo, 1989.

Tripudio di colore, omaggio alla gentilezza del caso che ci fa fare le cose (non faccio nulla, ho solo pensato il progetto, sembra dire l'artista), è la serie dei planisferi di Alighiero Boetti. Le sue varie Mappe del mondo raccontano la varietà e la differenza delle culture: cucite da sapienti mani di artigiane afghane rappresentano la cultura e l'appartenenza (ad ogni porzione di geografia il colore della sua bandiera) ma anche il trasformarsi dei confini (le incertezze del ricamo così come i cambiamenti politici nel corso del tempo, ciò che prima è Urss poi diventa Russia). Boetti ha dedicato tempo alla ricerca di codici e simboli per disegnare la totalità del mondo custodendo il segreto dell'impossibilità di tutto rappresentare: come lui stesso ha scritto, lo muove il desiderio di «disegnare tutto», perché «in fondo, il mondo è piccolo e le nostre possibilità di creare nuove forme si esauriscono presto» (da una recensione di Vincenzo Trione).

M. Lai, Geografia, 1994. 

L'idea della mappa rimanda alla rappresentazione e al disegno, al tentativo di riportare sul piano quanto è curvo (la sfera del globo), incerto sfuggente e vasto (il territorio, il vissuto, la conoscenza, tutto ciò che è materia nelle tanto utilizzate mappe mentali o concettuali); la mappa utilizza il colore e le linee ("La vita è una linea, il pensiero è una linea, l'azione è una linea. Tutto è linea" scrive Manlio Brusatin in Storia delle linee, Einaudi 1993, p. 6). La linea del pensiero ma anche della poesia e dell'immaginazione e dell'imprevisto, come quella delle Geografie o dei Mondi e soli scuciti di Maria Lai. Stoffe intrecciate di fili lievi e incisivi che raccontano quello che non sempre si sa dire, in forma di filo che cuce scuce e ricuce, immagini fatte d'ombra e di bellezza straordinaria. "L’arte non è interpretazione, ma trasformazione", diceva Lai, indicando con perfetta precisione un'estetica e un programma di lavoro.


P. Mondrian, Broadway Boogie woogie, 1944.

P. Klee, Strada principale e strade secondarie, 1929.

L'arte del Novecento e della contemporaneità frequenta spesso la cartografia e le mappe, nel continuo ripensamento di equilibri e fenomeni, innumerevoli sono infatti gli artisti che hanno rivisitato la rappresentazione del mondo, soprattutto attraverso il filtro del paesaggio interiore. Si va dall'esplosione ordinata di un Mondrian all'idea del percorso come intreccio di vie traverse di Paul Klee, dalle mappe di Mona Hatoum che rimandano alla complessità della situazione medio-orientale all'approccio "psicogeografico" del situazionista Guy Debord o ancora ai mappamondi 'cancellati' di Emilio Isgrò.

M. Hatoum, Hot spot, 2006.

E. Isgrò, Mare Aegeum, 1970.

Come dire: il mondo non è solo come lo vedi e lo puoi riportare su un piano ma anche come lo senti, come lo vorresti, come lo vivi, il mondo è anche quello che non vedi, ciò che sta sotto o altrove e per cui non c'è misurazione possibile.

C'è da perdersi, e in effetti mi sono persa, ho abbandonato la mia scrivania il mio studio la mia abitazione. Ho respirato.

Per finire un pesce d'aprile: una mappa di un'isola spacciata per vera dal tipografo San Serriffe, annuncio pubblicato sul Guardian il 1 aprile 1977. Insomma, non non ho ancora ridisegnato la mia personale mappa, sono ancora incollata alla scrivania, ma so con certezza che con le carte viaggiamo e ci possiamo divertire.

1977: April fool! Visit Sans Seriffe - map

Sul perdersi con l'aiuto di mappe inventate dalla letteratura segnalo questo blog, ricordo L'Atlante dei luoghi immaginari di I. Mazzotti e D. Calì, Mondadori 2018, Storie delle terre e dei paesi leggendari di U. Eco, Bompiani 2014, e Map. Exploring the World, Phaidon 2015.


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