L'idea me l'hanno data loro, i miei alunni, come spesso succede per i soggetti dei post.
In questi tempi di scuola a distanza cambia un po' il modo di essere sia insegnanti che studenti. Ecco che le nostre vite domestiche, inevitabilmente, fanno capolino: ho notato che molte delle foto scelte per i profili online con cui ragazze e ragazzi si presentano ritraggono i loro animali da compagnia, e che durante le lezioni in rete questi stessi amici, cani o gatti, vengono a trovarci. Un muso qua e una coda là, tra futuristi e mosaici.
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Elliot Erwit, Parigi 1989. |
Mi sembrava un argomento marginale ma nel clima da fase due la necessità di allegria si fa sentire.
Perchè non indagare come gli artisti, e soprattutto i pittori, hanno rappresentato gli animali da compagnia? Una volta individuato il tema, iniziando a documentarmi
mi sono ritrovata alla prese con truppe di ... cani. Sì, scelgo loro, a dispetto dei gatti che girano nella mia di casa, in nome di una presenza che in prima battuta appare massiccia. Va bene i gatti venerati dall'Antico Egitto, ma da cani è attraversata la nostra storia dell'arte.
Nell'antichità le presenze canine sono frequenti ma niente di più lontano dai cani vezzeggiati e scodinzolanti di oggi.
Nel mondo antico e per tantissimo tempo i cani vengono trattati come tali e niente di più. Da loro ci si attende utilità e lavoro: stanno a ricordare l'aggressività, la disposizione alla caccia, l'istinto immediato e autentico. Ricordiamo Argo, il cane di Ulisse, o i cani che si accompagnano al
mito di Diana, dea della caccia. Frequente risulta la raffigurazione della storia di
Atteone, il giovane trasformato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani perchè aveva osato poggiare lo sguardo sulla dea.
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Atteone sbranato dai cani, vaso a figure rosse, 490 a.C., pittore di Dolone, British Museum, Londra. |
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Atteone e i cani, metopa del Tempio E di Selinunte, V sec. a.C., Museo Archeologico Regionale A. Salinas, Palermo. |
Frequenti sono i rimandi al quotidiano e a un certo naturalismo. E' il caso dei cani che compaiono nelle decorazioni pavimentali tardo-imperiali, come nella Villa del Casale di Piazza Armerina, o come il famoso
cave canem di Pompei.
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Cave canem, mosaico, II sec.d.C., Casa del Poeta tragico, Pompei. |
Aggressività e docilità, selvaticheria e addomesticabilità sono i tratti - in generale - di cani e altri animali, inclusi quelli di fantasia, durante il Medio Evo ed epoca moderna.
Quanti cani è possibilie incontrare nei bestiari e nei codici miniati, dove essenzialmente fanno la guardia, custodiscono recinti e case, e
soprattutto cacciano.
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Dall'alto: dal Bestiario 12 Royal, XIII sec. ca., British Library; Livre de chasse, Gaston Phébus, XIV sec. |
I cani si associano insomma alle attività dei loro padroni e identificano situazioni, valori e condizioni di pertinenza ora della città e degli interni delle abitazioni, ora delle campagne e della natura. Da un lato la vita nei campi: nel
Sogno di Gioacchino di Giotto, nella Cappella degli Scrovegni, cani accompagnano i pastori, e dunque partecipano della gestione del gregge. La loro presenza e quella degli umani ricorda che Gioacchino si è allontanato dalla città. Dall'altro la caccia, pratica nobile. A caccia di cinghiali vanno i cani nei
capitelli del battistero di Pisa, a ricordo di un'arte classica, o ancora a caccia vanno i levrieri che inseguono le lepri nelle lontananze della
Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. Sono cani che fanno il loro lavoro e che si inseriscono nei cicli della vita e nel corso delle attività degli uomini.
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Giotto, Il sogno di Gioacchino, 1301-1305, affresco, Cappella degli Scrovegni, Padova. |
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Capitello, Battistero di Pisa, XIII sec. |
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P. Uccello, Disarcionamento di Bernardino della Ciarda (dett.), Battaglia di San Romano, 1456, tempera su tavola, Galleria degli Uffizi, Firenze. |
E poi ci sono i cani che custodiscono atmosfere all'interno delle case, portando con sé
simbologie ben precise. Nella casa dei
coniugi Arnolfini di van Eyck un cagnetto arruffato sta a simboleggiare la fedeltà che ci si promette quando ci si unisce in matrimonio, di cui peraltro l'olio è testimonianza. Al cane si attribuiscono notoriamente la
fedeltà nell'amicizia quanto nella vita coniugale, ma a seconda delle situazioni può evocare anche
prudenza o sensualità, altro aspetto dell'amore (soprattutto in presenza del levriero, ora simbolo di caccia ora simbolo dell'amore carnale). Negli affreschi per
Sigismondo Malatesta di
Piero della Francesca due levrieri, bianco e nero, sono l'immagine della quiete e della pazienza, rivolgono lo sguardo in direzioni opposte e mostrano un'aria circospetta. In
Mantegna, negli affreschi per
Ludovico III Gonzaga a Mantova, il cane Rubino occhieggia placido da sotto la seduta del padrone. Interessante la lettura che
Dario Fo ha dato della Camera picta, dove vari passaggi indicherebbero non solo la maestria e l'inventiva di Mantegna, ma anche il suo atteggiamento
vagamente irriverente nei confronti dei committenti: il muso del cane ricorda da vicino quello della marchesa moglie di Ludovico, le sue orecchie sono simili alle bende che scendono dall'acconciatura; il segretario che sta alla sinistra del padrone di casa è fin troppo ossequioso, e poi le irregolarità nella proporzione delle membra dei corpi, tali da far pensare al rachitismo di cui soffriva la stirpe dei Gonzaga: "Come non leggere l’ironia e la satira delle immagini? Come potevano il duca di Mantova e la sua corte non cogliere il doppio significato della rappresentazione di Mantegna: la similitudine del cane con la marchesa, il rimpicciolimento del segretario, l’atteggiamento ossequioso e servile dei cortigiani… Ma come diceva Machiavelli che in quegli anni stava già pensando al Principe: ‘La vanagloria dei potenti rende ciechi’" (dalla lezione-spettacolo dedicata al Mantegna, 6 luglio 2006).
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J. van Eyck, Coniugi Arnolfini, 1434, olio su tavola, National Gallery, Londra. |
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H. Memling, Vanità, dal Trittico di Strasburgo, 1485, olio su tavola, Musée de Beaux-arts, Strasburgo. |
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Piero della Francesca, Sigismondo P. Malatesta, 1451, affresco, Tempio Malatestiano, Rimini. |
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A. Mantegna, Camera degli Sposi, 1465-1474, affresco, Palazzo Ducale, Mantova. |
Ci sono cani che fanno dunque compagnia, nelle case dei notabili dove stanno immobili come i loro padroni, e nelle case delle dee: nella
Venere di Urbino di Tiziano il cane accucciato sa di
tranquillità domestica e di pace.
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Bronzino, Ritratto di donna con cane, 1531, olio su tavola, Städelsches Kunstinstitut und Stadtische Galerie, Francoforte. |
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Tiziano, Venere di Urbino, 1538, olio su tela, Galleria nazionale dell'Umbria, Urbino. |
O nelle case di chi studia e assiste ad apparizioni dalla finestra, come nell'
Agostino di Carpaccio: un cane alla sinistra fa da contrappunto al soggetto che occupa principalmente la parte destra della tela, dà un tono di intimità alla scena e mostra il senso dell'adesione alle proprie idee. Interessante anche dal punto di vista della composizione, per la diagonale che dalla finestra passa per il volto del santo e raggiunge il cane, toccato in basso dalle ombre lunghe che segnano la base di un ideale triangolo. Forse anche il volpino vede San Girolamo?
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V. Carpaccio, Visione di sant'Agostino, 1502, tempera su tela, Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, Venezia. |
Ma ci sono animali che rimandano a qualcosa di diverso,
cani che sembrano capaci di quei sentimenti che si riconoscono esclusivamente agli esseri umani: il cane massiccio e serio che veglia sulla morte di
Procri in Piero di Cosimo. Una favola complessa, che racconta di gelosie e di rivalità tra amanti, che si conclude con la morte di lei, Procri, per mano di lui, Cefalo. Il corpo di Procri giace senza vita e il
cane Lélape, fedele e affezionato, attende invano, sta soffrendo anche lui (ho trovato indicazione del dipinto nel bel libro di M. Mazzucco,
Il museo del mondo, Einaudi 2014).
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P. Di Cosimo, La morte di Procri, 1495, olio su tavola, National Gallery, Londra. |
O l'incredibile cane di
Goya, immerso nella sabbia - o nel nulla? -, che osserva qualcosa che forse un tempo era presente nell'affresco, in alto a destra. Non sappiamo come leggere la serie di affreschi chiamati pitture nere, dipinti da Goya per sé nella sua abitazione Quinta del sordo. Tra immagini che fanno largo uso del nero e che raccontano soggetti oscuri e malinconici, l'affresco del cane si presenta come estremamente moderno e forte.
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F. Goya, Il cane, olio su intonaco, 1820-23, Museo del Prado, Madrid. |
E poi ci sono i cani disegnati da
Leonardo, investiti della stessa ricerca di verità che coinvolge l'osservazione di ogni cosa nell'indagine del maestro di Vinci, con i loro musi proporzionati. Anche loro per Leonardo fanno parte del grande orizzonte della realtà e meritano attenzione esattamente come gli altri abitanti del pianeta.
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Leonardo da Vinci, studio di proporzioni di cane, 1497, Ms I, Institut de France, Parigi. |
Ma quando esattamente i cani diventano compagni di giochi e di spensieratezza, come siamo abituati a vederli nel mondo contemporaneo? Di cani sono pieni i dipinti dell'Ottocento, in quella pittura che sancisce il raggiungimento di un
importante status sociale da parte della borghesia. Di cani sono affollate le case, tra donne, ragazze e bambine che dalle case escono raramente, ma li troviamo anche per le strade al guinzaglio, nei luoghi di ritrovo, alle corse o al parco, a sancire la trasformazione delle pincipali città europee e degli spazi del tempo libero.
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B. Morisot. Ragazza con cane, 1886, olio su tela, collezione privata. |
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B. Morisot, Julie e il cane Laerte, 1886 ca., olio su tela, Musée Marmottan, Parigi. |
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P.-A. Renoir, La signora Charpentier con i figli, 1878, olio su tela, Metropolitan Museum of Art, New York. |
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G. de Nittis, L'amazzone del Bois de Boulogne, 1870 ca., olio su tela, Raccolte Frugone, Genova. |
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G. De Nittis, Ritorno dalla corsa, 1878, olio su tela, Museo Revoltella, Trieste. |
E così incontriamo cani che vivono una loro esistenza autonoma e indipendente, come i cani di
Lucien Freud o di
Andy Wahrol, per non parlare del cane rarefatto di
Giacometti o del cane di
Basquiat. Cani abbandonati a se stessi, consumati, annoiati, sul chi vive, ben accomodati nella vita incerta dei loro umani novecenteschi.
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L. Freud, Notthing Hill, 1998, olio su tela. |
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A. Wahrol, Ritratto di Maurice, serigrafia, 1976, National Galleries Scotland, Edimburgo. |
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J. M. Basquiat, Boy and dog in a Johnnypump, 1982, olio su tela, collezione privata. |
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A. Giacometti, Cane, 1951, bronzo. |
Cani che si agitano e che appaiono felici, come quello di
Giacomo Balla, protagonista assoluto insieme ai piedi dell'umano che porta al guinzaglio dell'indagine sul movimento e il dinamismo. Qui il cane non è né un simbolo di ferocia nè di fedeltà, è solo un essere che si muove veloce di cui si possono cogliere i micromovimenti come in una successione di frame cinematografici.
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G. Balla, Dinamismo di cane al guinzaglio, 1912, olio su tela, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo |
Animali che provano qualcosa, molto diversamente da quanto accadeva nella cultura antica, che possono addirittura
'avere un'anima', come si dice nel bellissimo racconto di
Goffredo Parise,
Anima (
Sillabari, Adelphi 2004). Il protagonista è il
cane Bobi spinto da "molti sentimenti: primo fra tutti un grandissimo eccitamento di mettere insieme, nelle combinazioni più diverse la maggiore quantità possibile di odori; poi dalla noia che nei cani è diversa, ma non molto diversa che negli uomini, poi dal bisogno di compagnia; poi dall'amor proprio, ferito dall'atteggiamento del padrone che egli amava senza aver mai avuto la sicurezza di essere contraccambiato, infine dall'allegria che nasceva dai suoi tre quarti abbondanti di sangue blu".
Insomma, modi di essere che con o senza quarti di nobiltà gli artisti ci ricordano quanto siano preziosi, perchè l'umanità non è solo degli uomini e delle donne ma in qualche strano modo anche di chi abbaia (e miagola). E ci fa compagnia.
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