Prima di rubare, pensa! Su strappi e vandalismi nell'arte (e nelle scuole)

'Prof, ci hanno rubato le foto! Non è giusto!' Interno giorno in una quinta dell'istituto professionale in cui passo gran parte del mio tempo: un grido si leva per lamentare il furto delle stampe formato A3 con le quali colmiamo l'assenza di alcuni strumenti didattici (una cartina geografica sarebbe utile, ad esempio). Non abbiamo granchè ma ce lo facciamo bastare, ovvero la lavagna in ardesia e i nostri cervelli. I fogli in questione erano le copie di due tra i baci più celebri dell'immaginario visivo europeo, Hayez 1859 e Doisneau 1950. 'Chi è stato?' Non lo sapremo mai ma è usanza della popolazione scolastica dell'istituto fare incursione nelle aule delle altre classi per appropriarsi di quanto appeso alle pareti, sospettiamo con l'obiettivo di farne coriandoli (anche le porte attirano azioni varie, ben più gravi). L'ipotesi del furto motivato da desiderio di possesso o da ammirazione per le opere riprodotte ci è sembrata improbabile. 

Nel corso dei giorni la rabbia delle alunne e degli alunni è cresciuta e con la rabbia la voglia di darsi una mossa. 'Prof, cosa facciamo?'. Rapidamente abbiamo deciso insieme che era il caso di non rassegnarsi e di continuare testardi ad appendere con scotch di carta le immagini necessarie per le nostre lezioni. Abbiamo anche pensato di associare qualche biglietto con su scritti dei messaggi rivolti agli sconosciuti vandali. Scartata l'ipotesi di improperi che lascio alla vostra immaginazione abbiamo optato per messaggi più civili, con l'augurio di instillare un qualche dubbio. Sì, lo sappiamo: è inutile. Infatti qualche giorno dopo sono sparite le copie e i biglietti. Ma questi piccoli episodi e i sentimenti innescati mi sono sembrati un'occasione per vivere da vicino quell'educazione civica che ingolfa tanti documenti scolastici.

V. van Gogh, I girasoli, olio su tela, 1889, National Gallery, Londra.

E poi mi sono chiesta: se i ladruncoli scoprissero che hanno degli illustri precedenti, che faccia farebbero? Quanti strappi e lacerazioni e rotture hanno preso di mira gli oggetti custoditi nei musei (non che la nostra scuola sia un 'museo', ma è pur sempre un'istituzione e perlopiù educativa), quante azioni illegali, insomma, conosciamo che all'arte si sono rivolte in modo 'violento', spesso con precise motivazioni? Fino al pomodoro lanciato contro i girasoli di Van Gogh qualche giorno fa dagli attivisti di Just Stop Oil o al puré di patate scagliato contro i covoni di Monet da altri gruppi ambientalisti. Pitture, oggetti innocui ma preziosissimi, scelti come simbolo di un sistema disprezzato (e scelti accuratamente per la loro valenza, protetti da lastre di vetro e dunque di fatto lasciati incolumi). Si tratta di gesti che vogliono aggiungere e non togliere, o rispetto ai quali possiamo rintracciare dei perchè, anche se probabilmente si stenta a capire. Ma andiamo con ordine.

L. Fontana, Concetto spaziale. Attese, cementite su tela, 1964,
Torino, Galleria d’Arte Moderna © Fondazione Lucio Fontana.

Di strappi ne conosciamo numerosi ed almeno uno lo dobbiamo collocare nel registro degli strappi geniali, che se non ci fosse stata quella ferita l'arte non sarebbe la stessa. Ladruncoli, un artista in prima persona vi ha preceduto, Lucio Fontana! Nessun bisogno di gironzolare in una galleria chiedendosi quale manufatto distruggere, semplicemente intorno al 1948 Fontana ha preso una tela bianca e l'ha tagliata. Un'idea affilata e potente, come le cesure inflitte alle superfici, così da sollecitare ancora - ne siamo sicuri - l'esclamazione 'Lo potevo fare anch'io!'. Sì, ma nessuno di noi lo ha fatto, ci ha pensato Lucio rivoltando dall'interno il fare artistico stesso, aprendo una porta verso il retro della tela e sparigliando l'idea di spazio della rappresentazione. Sembra quasi si sia chiesto: cosa c'è dall'altra parte? Ma davvero devo fermarmi alla superficie bianca qui davanti? Che la curiosità e le domande siano sempre con noi, unica speranza per andare avanti - un po' - come specie.

Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Reichstag, 1995, Berlino.

Di segno opposto, il coprire. Se Fontana taglia e toglie, se crea fenditure con un coltello gentile, libero e padrone nel suo atelier, una famosa coppia d'artisti ha invece optato per il coprire, per impedire la vista: Jeanne-Claude e Christo, i maestri dell'impacchettamento, gli inventori della negazione dell'evidenza, audaci fino a coinvolgere oggetti non proprio da museo come il Pont-Neuf di Parigi, il Reichstag a Berlino o i varchi in Central Park a New York, rivestiti di materiale plastico. Nessuna violenza (e nessuna illegalità. Si sono sempre mossi chiedendo il permesso, talvolta arrivato dopo anni e anni, come nel caso dell'Arc de Triomphe a Parigi), nessun rifiuto e inquinamento ambientale; eppure che violenza geniale quella che grazie all'impedimento della vista sollecita l'immaginazione, che rende precari edifici solidissimi, provocando uno schock percettivo e culturale! Sarebbe bello Jeanne-Claude e Christo redivivi impacchettassero l'istituto professionale, e allora sì, che facce faremmo tutti, privati delle nostre quiete certezze.

Fare Ala, Pizzo Sella Art Village, 2013, Palermo.

E poi ci sono i segni e le forme trasgressive sulle pareti e sui muri, sulle città, un imbrattamento profondamente ragionato e per nulla vandalico per quanto illegale, fin dalle origini della street art negli Stati Uniti intorno alla metà del Novecento. Segni che spesso vanno a poggiarsi su qualcosa che è già, di per sé, oltraggio. Alla legge, al buon senso, alla collettività. Penso alle 170 villette abbandonate di Pizzo Sella, a Palermo, agli inserti giocosi e ironici del collettivo Fare Ala e degli artisti che si sono poi aggiunti, che hanno dato nuova veste a degli scheletri inutili, facendo di un ecomostro sequestrato un laboratorio (poi bloccato dai paradossi amministrativi). Oggetti inutili e illegali, gli scheletri abusivi, lì, nel nostro ambiente, nel nostro paesaggio. Diceva uno dei responsabili del collettivo: Pizzo Sella è una sorta di lavagna su cui lasciare dei messaggi. Il nostro ruolo? Fare da cassa di risonanza per il potenziale comunicativo di questo posto straordinario” (per saperne di più consulta qui o il testo di M. Filippi, M. Mondino, L. Tuttolomondo, Street art in Sicilia, Dario Flaccovio 2017).

D. Velasquez, Venere Rabeki, olio su tela, 1648 ca., Museo del Prado, Madrid; dettaglio dei tagli del 1914.

Questi sono però gesti 'artistici', gesti creativi attraversati da una forza generativa, che aggiunge. Danno una sferzata e imprimono delle svolte alla storia. Poi ci sono invece gli strappi o le violenze che tolgono soltanto, che deturpano e offendono. Anche quando mossi da nobili ragioni per denunciare soprusi o ingiustizie. Mi riferisco ad esempio al taglio della Venere di Velasquez da parte di Mary Richardson alla National Gallery di Londra, che espresse in questo modo il disappunto per l'arresto della suffragetta Emmeline Pankhurst nel 1914. L'autrice del taglio finì sei mesi in prigione e di lì a poco, nel giro di qualche anno, si scelse per il suffragio femminile in alcuni paesi. Grazie a Pankhurst e alle altre. Non credo avesse le stesse motivazioni chi si è avventato contro Guernica di Picasso, o contro la Gioconda, o contro i vari Michelangelo, Filippino Lippi, Raffaello etc. fino a Pollock, ovvero il vandalo più famoso d'Italia, Pietro Cannata: deturpare dei capolavori main stream sembra in questo caso solo un atto di rivalsa, sintomo di disturbi di altro genere.

Leonardo da Vinci, La Gioconda, olio su tela, 1503, Museo del Louvre, Parigi.

Ecco, che 'disturbi' affliggono i ragazzi del mio istituto? Noia, senso di vuoto, desiderio di rivendicazione, rabbia, frustrazione, mancanza di senso, la nebulosa di problematiche che coinvolge la gioventù in ogni tempo, soprattutto quando inserita in una dimensione di deprivazione e di chiusura. Nebulosa che nel nostro presente diventa se possibile ancora più grave (mentre scrivo viene resa pubblica l'operazione Poison della polizia di Pescara, protagonisti dei minori denunciati per abusi in rete). Non credo i vandali della mia scuola verranno a conoscenza dei loro illustri e variegati precedenti, non credo si fermeranno a dubitare, intanto il pensiero che rimbomba è sempre quello: cercare un senso, anche nel vuoto. E provare in tutti i modi, sempre, con l'unico mezzo a disposizione, le parole e l'immaginazione. Come gli alunni della mia quinta mostrano di voler fare. Diceva Plutarco, tanto tempo fa: "Ciò che conquistiamo interiormente modificherà la realtà esterna". 


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