Ragazze, pensate in grande! O comunque con la vostra testa.
"Difendi il tuo diritto di pensare, perché anche pensare erroneamente è meglio che non pensare affatto". E' un'affermazione della matematica e filosofa Ipazia, attiva nel IV secolo a.C. ad Atene, una delle tante figure evocate in un libro di qualche anno fa, Storie della buonanotte per bambine ribelli: 100 vite di donne straordinarie, di Francesca Cavallo e Elena Favilli (Mondadori, 2017). Avevo trovato notizia di Ipazia in una recensione, poi nel libro stesso, entrambi i documenti portati in classe in varie occasioni, da leggere alle mie alunne ed ai miei alunni. Non sono più bambini, d'accordo, ma il libro è talmente gioioso con le sue illustrazioni, e ricco di insegnamenti con le biografie di donne di cui nulla sappiamo, che val la pena proporre l'argomento a tutte le età.
Mi sono ricordata di questo piccolo pezzo della mia biblioteca ascoltando la notizia dell'ennesimo femminicidio e pensando alla ricorrenza della giornata contro la violenza sulle donne. Triste coincidenza. Ieri c'era Ana, una giovane e bella donna di trent'anni che sognava una vita e una famiglia, oggi ci sono le immagini atroci di un omicidio pepetrato ai danni di questa donna incinta che una vita non ha più.
Cosa c'entra un libro illustrato e dal sapore scanzonato con una faccenda come questa? Nulla, ma nello stesso tempo qualcosa c'entra. Tra i pensieri e lo sconforto mi ponevo una domanda: in che modo nelle scuole possiamo contribuire? Le azioni sono tante ma una cosa è chiara: è sempre più necessario portare il racconto di donne e di uomini che alla violenza hanno reagito, che la vita l'hanno percorsa e vissuta all'insegna di valori quali l'apertura e il rispetto, che non si sono piegati agli stereotipi; che la dignità propria e altrui non hanno calpestato ma hanno coltivato. L'argomento è delicato ma da qualche parte si dovrà pure ripartire, ovvero l'educazione e la cultura, perchè i sentimenti si imparano, e bambine e bambini, ragazze e ragazzi, oltre che all'interno delle loro famiglie è proprio a scuola che imparano a vivere.
Un concetto forse è centrale, quello di autonomia. Se qualcosa questo libro aiuta a mostrare è proprio quanto segue: la naturalezza nel pensarsi in tutte le declinazioni possibili, oltrepassando i limiti degli stereotipi associati al femminile in nome della passione per la vita e per la conoscenza, e della curiosità. Siamo sicuri che le nostre alunne si percepiscano come potenziali scienziate, genetiste, astrofisiche, pilota, veliste, reporter, direttrici d'orchestra, attiviste politiche, e quant'altro la loro voglia di fare possa sollecitare? Siamo sicuri che la nostra scuola le aiuti a pensarsi come esseri umani che possono raggiungere qualunque traguardo, aldilà delle differenze di genere e della cultura tradizionale? Che possono farcela lavorando sodo e puntando in alto? (di questi argomenti parla anche questa settimana l'Espresso, "Ecco lo scaffale per un femminismo maschile. Libri che parlano di donne ma che gli uomini farebbero molto bene a leggere", di Paolo Di Paolo). Una dedica apre la raccolta: "Alle bambine di tutte il mondo: sognate in grande, puntate in alto, lottate con più energia. E nel dubbio ricordate: avete ragione voi". Studi sull'argomento svolti dalle Università di New York, Illinois e Princeton dicono che già a partire dall'età di sei anni le bambine si percepiscono come meno intelligenti dei coetanei maschi, e che fin dalla più tenera età il mondo intorno solleciti una separatezza nel modo di percepire la propria sessualità e dunque esistenza: educata, gentile e graziosa quella delle bambine; vivace, aggressiva e ambiziosa quella dei maschi. Un altro stereotipo circola nella scuola italiana, quello per cui le bambine si avvertono come meno portate per le discipline STEM (science techonogly engineering mathematics), con conseguente allontanamento da settori in cui si concentraranno i mestieri di domani.
Un dato emerge dai dati e fatti di cronaca, e riguarda soprattutto il Sud: le donne prive di autonomia economica sono più facilmente soggette a violenza da parte di padri, fratelli, compagni e mariti. Sapere di potercela fare, di avere diritto a farcela esattamente come padri e fratelli, dipende anche dal sentirsi o meno adeguate a intraprendere la strada che si vuole.
Chi l'ha detto che esistono professioni da declinare solo al maschile o al femminile? Quel che conta è la passione che ci abita e che ci muove, e abbiamo bisogno di sicurezza, fiducia e strumenti adeguati, per scoprire chi siamo e dove vogliamo andare. Un'altra caratteristica sembra accumunare tante tra le figure di questo libro, oltre le arcinote Rita Levi Montalcino, Michelle Obama o Maria Callas: la loro invisibilità, la loro assenza dai libri di storia. Chi di voi conosce l'informatica Margaret Hamilton, la pilota di Formula Uno Lella Lombardi o la motocrossista Ashley Fiolek? E quanto spazio viene dato a figure come Artemisia Gentileschi, Benedetta Cappa o Frida Kahlo nei libri di storia dell'arte? La maggioranza di queste figure non vengono adeguatamente presentate e studiate nei libri di storia, insieme a tutti gli altri che questa storia hanno contribuito a disegnare.
Una donna di cui molto poco si sa e di cui ho già parlato qui, è la fotografa Vivien Maier. Oramai studiata e apprezzata dalla critica (la sua scoperta si deve a John Maloof, nel 2007. Attualmente è in corso una mostra a Milano, Fondazione Formafoto), Maier è una bizzarra figura di artista. Ma davvero la si può definire tale? Mi sembra un esempio interessante di donna che fa dell'invisibilità la sua cifra personale, durante tutta un'esistenza - forse difficile, senza troppi mezzi - dispiegata tra New York la Francia e Chicago, ma che sceglie un mezzo espressivo con cui rendere visibili le vite degli altri. Una donna su cui aleggia un forte mistero e che porta questo mistero anche nelle immagini realizzate: sembrano davvero 'rubate', colte in apparente velocità e senza turbare l'esistenza altrui. Eppure, proprio questa donna che faceva la tata, che non aveva una vita sentimentale o familiare (sappiamo che nacque nel 1926, che è scomparsa nel 2009, che aveva una zia e forse un fratello), che sembra volere passare inosservata e che ha prodotto delle immagini di grande incisività e grazia, ha lasciato tra i suoi circa 150 mila negativi molti autoritratti. Si ritrae quasi sempre con un'espressione seria, concentrata, senza abbellimenti o seduzioni di sorta. Talvolta guarda verso l'obiettivo, altre volte no. Ma soprattutto, quasi sempre, eccola con la sua inseparabile Rolleiflex bene in vista. Sarà stata una tata che non poteva permettersi di stampare tutti i suoi negativi, che non aveva chissà grande fiducia in sé, eppure quando si mostra lo fa in modo preciso e netto, ricordando a se stessa di aver trovato in quello strumento - la macchina fotografica - il suo modo di esistere.
Percepire se stessi come dotati di visibilità, ciascuna e ciascuno a partire dalla propria unicità, che sia la forza o la calma, la grazia o l'inventiva, il silenzio o l'esuberanza, senza troppi pregiudizi e con la piena gioia di se stessi: ecco cosa vorrei aiutare a compiersi nelle mie alunne e alunni.
Mi sono ricordata di questo piccolo pezzo della mia biblioteca ascoltando la notizia dell'ennesimo femminicidio e pensando alla ricorrenza della giornata contro la violenza sulle donne. Triste coincidenza. Ieri c'era Ana, una giovane e bella donna di trent'anni che sognava una vita e una famiglia, oggi ci sono le immagini atroci di un omicidio pepetrato ai danni di questa donna incinta che una vita non ha più.
Cosa c'entra un libro illustrato e dal sapore scanzonato con una faccenda come questa? Nulla, ma nello stesso tempo qualcosa c'entra. Tra i pensieri e lo sconforto mi ponevo una domanda: in che modo nelle scuole possiamo contribuire? Le azioni sono tante ma una cosa è chiara: è sempre più necessario portare il racconto di donne e di uomini che alla violenza hanno reagito, che la vita l'hanno percorsa e vissuta all'insegna di valori quali l'apertura e il rispetto, che non si sono piegati agli stereotipi; che la dignità propria e altrui non hanno calpestato ma hanno coltivato. L'argomento è delicato ma da qualche parte si dovrà pure ripartire, ovvero l'educazione e la cultura, perchè i sentimenti si imparano, e bambine e bambini, ragazze e ragazzi, oltre che all'interno delle loro famiglie è proprio a scuola che imparano a vivere.
Un concetto forse è centrale, quello di autonomia. Se qualcosa questo libro aiuta a mostrare è proprio quanto segue: la naturalezza nel pensarsi in tutte le declinazioni possibili, oltrepassando i limiti degli stereotipi associati al femminile in nome della passione per la vita e per la conoscenza, e della curiosità. Siamo sicuri che le nostre alunne si percepiscano come potenziali scienziate, genetiste, astrofisiche, pilota, veliste, reporter, direttrici d'orchestra, attiviste politiche, e quant'altro la loro voglia di fare possa sollecitare? Siamo sicuri che la nostra scuola le aiuti a pensarsi come esseri umani che possono raggiungere qualunque traguardo, aldilà delle differenze di genere e della cultura tradizionale? Che possono farcela lavorando sodo e puntando in alto? (di questi argomenti parla anche questa settimana l'Espresso, "Ecco lo scaffale per un femminismo maschile. Libri che parlano di donne ma che gli uomini farebbero molto bene a leggere", di Paolo Di Paolo). Una dedica apre la raccolta: "Alle bambine di tutte il mondo: sognate in grande, puntate in alto, lottate con più energia. E nel dubbio ricordate: avete ragione voi". Studi sull'argomento svolti dalle Università di New York, Illinois e Princeton dicono che già a partire dall'età di sei anni le bambine si percepiscono come meno intelligenti dei coetanei maschi, e che fin dalla più tenera età il mondo intorno solleciti una separatezza nel modo di percepire la propria sessualità e dunque esistenza: educata, gentile e graziosa quella delle bambine; vivace, aggressiva e ambiziosa quella dei maschi. Un altro stereotipo circola nella scuola italiana, quello per cui le bambine si avvertono come meno portate per le discipline STEM (science techonogly engineering mathematics), con conseguente allontanamento da settori in cui si concentraranno i mestieri di domani.
Un dato emerge dai dati e fatti di cronaca, e riguarda soprattutto il Sud: le donne prive di autonomia economica sono più facilmente soggette a violenza da parte di padri, fratelli, compagni e mariti. Sapere di potercela fare, di avere diritto a farcela esattamente come padri e fratelli, dipende anche dal sentirsi o meno adeguate a intraprendere la strada che si vuole.
Chi l'ha detto che esistono professioni da declinare solo al maschile o al femminile? Quel che conta è la passione che ci abita e che ci muove, e abbiamo bisogno di sicurezza, fiducia e strumenti adeguati, per scoprire chi siamo e dove vogliamo andare. Un'altra caratteristica sembra accumunare tante tra le figure di questo libro, oltre le arcinote Rita Levi Montalcino, Michelle Obama o Maria Callas: la loro invisibilità, la loro assenza dai libri di storia. Chi di voi conosce l'informatica Margaret Hamilton, la pilota di Formula Uno Lella Lombardi o la motocrossista Ashley Fiolek? E quanto spazio viene dato a figure come Artemisia Gentileschi, Benedetta Cappa o Frida Kahlo nei libri di storia dell'arte? La maggioranza di queste figure non vengono adeguatamente presentate e studiate nei libri di storia, insieme a tutti gli altri che questa storia hanno contribuito a disegnare.
Una donna di cui molto poco si sa e di cui ho già parlato qui, è la fotografa Vivien Maier. Oramai studiata e apprezzata dalla critica (la sua scoperta si deve a John Maloof, nel 2007. Attualmente è in corso una mostra a Milano, Fondazione Formafoto), Maier è una bizzarra figura di artista. Ma davvero la si può definire tale? Mi sembra un esempio interessante di donna che fa dell'invisibilità la sua cifra personale, durante tutta un'esistenza - forse difficile, senza troppi mezzi - dispiegata tra New York la Francia e Chicago, ma che sceglie un mezzo espressivo con cui rendere visibili le vite degli altri. Una donna su cui aleggia un forte mistero e che porta questo mistero anche nelle immagini realizzate: sembrano davvero 'rubate', colte in apparente velocità e senza turbare l'esistenza altrui. Eppure, proprio questa donna che faceva la tata, che non aveva una vita sentimentale o familiare (sappiamo che nacque nel 1926, che è scomparsa nel 2009, che aveva una zia e forse un fratello), che sembra volere passare inosservata e che ha prodotto delle immagini di grande incisività e grazia, ha lasciato tra i suoi circa 150 mila negativi molti autoritratti. Si ritrae quasi sempre con un'espressione seria, concentrata, senza abbellimenti o seduzioni di sorta. Talvolta guarda verso l'obiettivo, altre volte no. Ma soprattutto, quasi sempre, eccola con la sua inseparabile Rolleiflex bene in vista. Sarà stata una tata che non poteva permettersi di stampare tutti i suoi negativi, che non aveva chissà grande fiducia in sé, eppure quando si mostra lo fa in modo preciso e netto, ricordando a se stessa di aver trovato in quello strumento - la macchina fotografica - il suo modo di esistere.
Percepire se stessi come dotati di visibilità, ciascuna e ciascuno a partire dalla propria unicità, che sia la forza o la calma, la grazia o l'inventiva, il silenzio o l'esuberanza, senza troppi pregiudizi e con la piena gioia di se stessi: ecco cosa vorrei aiutare a compiersi nelle mie alunne e alunni.
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