Con i piedi per terra. Sull'arte, sui sogni e sul camminare

Con i piedi ben piantati per terra. E' una condizione collettiva, quella in cui si impone l'esercizio della realtà che siamo chiamati a svolgere in particolare nel nostro tempo. Saldi, ma nello stesso tempo con il desiderio di normalità, come quella di girovagare facendo passi uno dietro l'altro nell'esplorazione dei luoghi. 


Metto insieme questi pensieri studiando alcune opere che parlano - tra le altre cose - di estremità. Ma quando mai ci ritroviamo a parlare di piedi? E nell'ambito della storia dell'arte? Eppure fanno parte del nostro corpo, ci hanno aiutato nella conquista della posizione eretta e a ben guardare dentro alle tele o altre opere d'arte dicono molto dello spirito con cui un artista si mette al lavoro. D'altra parte, come dice la leggenda, anche Buddha ha misurato l'universo facendo sette passi in ciascuna delle direzioni dello spazio. Come spesso succede trovato un filtro attraverso cui osservare quel che abbiamo davanti, ecco che scopriamo o ci ricordiamo di altre esperienze che ci parlano di quel 'filtro'. I piedi e la terra: lungo questo asse verticale si intrecciano significati e aspettative, orizzonti e modi di essere, anche se in realtà la verticalità è solo uno dei mille orientamenti con cui possiamo creare le nostre mappe. Osserviamo i piedi da sopra verso sotto, ma sotto quella pelle e sotto la superficie delle stesse scarpe, quante realtà possiamo scoprire?


Caravaggio, Madonna di Loreto, 1604, olio su tela, Chiesa di S. Agostino, Roma e 
Morte della Vergine, 1601, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi.

E così eccoci alle prese con i piedi sudici ma in bella mostra del Caravaggio: è concentrandomi sulla Madonna di Loreto ma anche sulla Morte della Vergine che questo dettaglio ad un tempo sensuale e marginale del corpo umano è balzato in primo piano. I piedi di certi lavori del Caravaggio sono autentici e intrisi di realismo, esattamente come cruda, diretta ma allo stesso tempo aggraziata è la lettura che l'artista milanese fa del sacro. Un sacro che va a braccetto con l'umano: gente modesta, povera, osservata nel momento dello sconforto o del dolore, vista per quello che è, senza fronzoli o maquillage. I piedi dei due pellegrini o quelli di Maria ripresa di sbieco, in una postura non consueta per la madre di Gesù, ammantata qui di semplicità e di immediatezza, assumono per l'appunto un valore importante perchè raccontano l'incedere faticoso ma schietto nell'esistenza. Ci dicono che il divino - o il senso 'elevato' - si trova dappertutto, dentro i gesti e le situazioni del quotidiano, dentro lo sforzo di camminare a contatto con la terra.

Attribuita ad Arnolfo di Cambio, San Pietro, XIII sec., bronzo, Basilica di S. Pietro. 

Di un sacro accostato con devozione e fisicità ci parla il piede della statua di San Pietro, nella Basilica di Roma. Esposta alla fede accorata dei pellegrini la statua ha un piede letteralmente consumato dai baci dei fedeli. Altro che distacco e riverenza, l'amore per l'apostolo qui si fa travolgente e tangibile! La funzione dell'arte è quella complessa - e ambigua - di dare corpo a qualcosa che altrimenti sembrerebbe non esistere


R. Magritte, Modello rosso III, 1973, olio su tela, Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam.

A proposito di ambiguità, il maestro per antonomasia delle immagini sconcertanti e paradossali, René Magritte, ci propone dei piedi che sono un tutt'uno con delle scarpe, o delle scarpe stringate che si trasformano in piedi. Non sappiamo cosa è vero, cosa è l'oggetto che ci si mostra, in un gioco di straniamento che è proprio del Surrealismo e dei giochi linguistici cari ai membri del gruppo: il contenuto incontra il contenente, il dentro comunica con il fuori come in una metonimia visiva




H. Füssli, La disperazione dell'artista, 1778, matita rossa e acquerello, Kunsthaus, Zurigo e 
A. Mantegna, San Sebastiano, 1475 ca., olio su tela, Museo del Louvre, Parigi.

Non ci parlano del sacro ma del rapporto con il tempo alcuni piedi che si mostrano come frammenti. E' il caso del bel piedone scultoreo che compare nel disegno di Heinrich Füssli, La disperazione dell'artista davanti alla grandezza delle rovine antiche, dove già nel titolo è contenuto il messaggio che l'artista consegna alla sua immagine. Il piede del Colosso di Costantino custodito nel cortile del Palazzo dei Conservatori a Roma è il frammento per eccellenza: la parte di quel tutto che è stato, ovvero l'antichità con la sua grandezza e la sua statura, a cui gli uomini e le donne dell'Ottocento possono solo aspirare, un po' disperati, senza possibilità alcuna di ritrovare quella compiutezza. E' la visione del Romanticismo, accompagnata da nostalgia e sentimento, che trasforma il dettaglio nel simbolo di un senso che non si trova più. Altro piede che parla dei fasti dell'antichità è quello che fa capolino accanto al San Sebastiano di Mantegna, il bel piede di una scultura che un tempo doveva sovrastarlo e che non c'è più, a testimoniare l'antichità nobilitante che puntella il paesaggio da cui il santo martire ci osserva. Si appoggia infatti ai resti di una colonna, così antica che tra le pietre è cresciuta una pianta. Sempre del Mantegna è un'altra rappresentazione di piedi in prima linea, belli e scorciati come quelli del Cristo morto. Piedi segnati dalle ferite della crocifissione, in realtà con misure più contenute rispetto a quanto la visione dal vero dovrebbe comportare, ma l'artista fa in modo che non impediscano la visione d'insieme, prediligendo il sentimento di compassione, empatia e vicinanza.


A. Mantegna, Cristo morto, 1470 ca. olio su tela, Pinacoteca di Brera e
E. Delacroix, La libertà che guida il popolo, 1830, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi.

Piedi impotenti e dolenti, che guardo sempre con tenerezza e tristezza, sono quelli che compaiono nei capolavori dei due massimi pittori della Francia romantica, Théodore Géricault ed Eugène Delacroix. Forse ispirato dall'amico più grande Géricault, che nella zattera della Medusa costruisce un simile dettaglio, Delacroix caratterizza l'uomo riverso sulla sinistra con un piede ancora coperto da un calzino, azzurro come lo sono tanti dettagli del dipinto. Nell'esaltazione dei valori della Francia postrivoluzionaria, colorata di bianco rosso e blu, animata da fremiti di riscatto e di eguaglianza, l'umiltà dei partecipanti è testimoniata dal loro essere abbandonati e inermi. Ecco cosa significa combattere.


S. Neshat, da Donne di Allah, 1994.

Quali sono le nostre armi? Sembra chiedersi anche questo la fotografa e videoartista iranaiana Shirin Neshat, autrice di immagini dal forte impatto visivo ed emotivo. Nella serie Donne di Allah, del 1994, volti, mani e piedi diventano fogli bianchi su cui tracciare in minuta grafia persiana versi del Corano e di poetesse arabe che affrontano il tema della condizione della donna nell'Islam. L'accostamento di quanto è associato da sempre alla bellezza, alla piacevolezza ed alla sensualità, il corpo femminile, a canne di fucile diritte e minacciose provoca un cortocircuito. Ed in effetti, obiettivo di Neshat è proprio quello di trattare la contraddizione di quegli esseri umani, le donne islamiche, che convivono con la 'legge', l'adesione sincera alla religione ed alla cultura del proprio paese, ma che nello stesso tempo aspirano a vivere con pienezza la propria natura e sessualità. Un paradosso che viene raccontato con incisività e poesia. Le nostre armi non sono solo la seduzione e la bellezza ma anche la cultura e l'arte, sembra voler dire Neshat.


Bronzino, Allegoria di Venere, 1540 ca, olio su tela, National Gallery, Londra.

E di bellezza i piedi sono testimonianza in molta parte della cultura artistica europea, soprattutto a partire dall'epoca rinascimentale, che celebra il rinnovato interesse per il corpo umano sulla scia degli antichi. Piedi danzanti e aggraziati, espressione di piacevolezza e di armonia, puntellano numerosi dipinti, creando quella familiarità con i dettagli del corpo umano propria anche alla nostra contemporaneità. Tra i tanti commenti che ci si poteva aspettare alla vista di un'opera ricca di particolari e di audacie come l'Allegoria di Venere del Bronzino, mi è toccato sentire che i piedi della dea sono enormi: "Prof, sembrano i piedi della Ferragni!", scoprendo così che le estremità della influencer più famosa del mondo sono stati oggetto di un dibattito sui social. E chi ne aveva idea? Grazie ragazze, di tenermi aggiornata.


V. van Gogh, Un paio di scarpe, 1886, olio su tela, Museum van Gogh, Amsterdam.

C'è un altro registro, imprescindibile, che va rievocato, quello degli oggetti che i piedi li calzano, oggetti del desiderio e di un feticismo antico tanto quanto quello rivolto alle estremità del corpo: le scarpe. Protagoniste della moda e dell'industria dell'effimero hanno una potenza simbolica senza pari: scarpe per caminare, da vendere e da comprare, scarpe per crescere e per cercare, per sedurre e costruire la propria immagine. Scarpe che dicono chi siamo o quel che vorremmo essere, che denunciano quello non sappiamo di essere, che si pongono all'incrocio tra ciò che è terra e materia e ciò che è sogno e materia impalpabile. Scarpe come dispositivi ambigui insomma, come i surreali oggetti di Magritte. 

Eppure i sogni appartengono a tutti, non solo alle Avanguardie del Novecento. Di sogni sono fatte le suole delle scarpe di un artista scoperto grazie all'amica Elisa Fulco, che di sentieri ne percorre con rara sensibilità e intelligenza (ne ho parlato anche qui): lo spagnolo Juanma Gonzalez. Calzolaio, inizia a dipingere sulle suole delle scarpe confezionate per le sue clienti. Piccoli paesaggi, racconti di lembi di storie, percorsi e cammini, ospitati su superfici a contatto con la terra, preziosi proprio perchè nascosti agli sguardi. Come dice la presentazione dell'artista sul sito del Museo Art et marges, musée d’art outsider di Bruxelles: "L’œuvre de Juanma ne s’oublie pas, elle s’efface", "L'opera di Juanma non si dimentica, svanisce". Come i sogni, quando ritornano ad essere un ricordo, ma non come quelli che si trasformano in carica vitale, progetto e creatività.

"Se avessi un drappo ricamato del cielo,
intessuto dell'oro e dell'argento e della luce,
i drappi dai colori chiari e scuri del giorno e della notte
dai mezzi colori dell'alba e del tramonto,
stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:
invece essendo povero, ho soltano sogni:
e i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi.
Cammina leggera, perché cammini sui miei sogni".

W. B. Yeats, da Il Vento tra le canne, 1899.


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